testo
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1.52k
| risposta
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36
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stringclasses 5
values |
|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
null |
F3. Per ognuna delle seguenti frasi indica se il verbo è alla forma attiva o passiva
A. I miei genitori vanno spesso alla fiera del libro
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attiva
|
['item_423_0.png']
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2018_08_DR_F
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binaria
|
attiva
|
passiva
| null |
null |
F3. Per ognuna delle seguenti frasi indica se il verbo è alla forma attiva o passiva
B. Mio fratello è convocato spesso per le partite in trasferta
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passiva
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['item_423_0.png']
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2018_08_DR_F
|
binaria
|
attiva
|
passiva
| null |
null |
F3. Per ognuna delle seguenti frasi indica se il verbo è alla forma attiva o passiva
C. Questi moduli vanno spediti entro la fine del mese
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passiva
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['item_423_0.png']
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2018_08_DR_F
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binaria
|
attiva
|
passiva
| null |
null |
F3. Per ognuna delle seguenti frasi indica se il verbo è alla forma attiva o passiva
D. Dalle Olimpiadi di italiano vengono esclusi gli alunni con voto inferiore a sei
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passiva
|
['item_423_0.png']
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2018_08_DR_F
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binaria
|
attiva
|
passiva
| null |
null |
F3. Per ognuna delle seguenti frasi indica se il verbo è alla forma attiva o passiva
E. Luigi è salito sul treno all'ultimo momento
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attiva
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['item_423_0.png']
|
2018_08_DR_F
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binaria
|
attiva
|
passiva
| null |
null |
F3. Per ognuna delle seguenti frasi indica se il verbo è alla forma attiva o passiva
F. Oggi pomeriggio vengono a trovarmi degli amici messicani
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attiva
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['item_423_0.png']
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2018_08_DR_F
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binaria
|
attiva
|
passiva
| null |
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del se nso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli al tri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, l inguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.
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A3. Quali tra le seguenti affermazioni sono coerenti con quanto si sostiene nel testo?
a) Il "senso comune" è ciò che ci fa sembrare banali e ingenui nella comunicazione
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incoerente
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['item_430_0.png']
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2018_10_SIM_A
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binaria
|
coerente
|
incoerente
| null |
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del se nso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli al tri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, l inguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.
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A3. Quali tra le seguenti affermazioni sono coerenti con quanto si sostiene nel testo?
b) Il contesto della comunicazione tra le persone è decisivo nel favorire usi diversi delle parole
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coerente
|
['item_430_0.png']
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2018_10_SIM_A
|
binaria
|
coerente
|
incoerente
| null |
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del se nso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli al tri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, l inguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.
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A3. Quali tra le seguenti affermazioni sono coerenti con quanto si sostiene nel testo?
c) Ciascuno deve mantenere il proprio modo e stile di parlare senza tener conto dell'interlocutore
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incoerente
|
['item_430_0.png']
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2018_10_SIM_A
|
binaria
|
coerente
|
incoerente
| null |
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del se nso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli al tri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, l inguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.
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A3. Quali tra le seguenti affermazioni sono coerenti con quanto si sostiene nel testo?
d) Gli scambi comunicativi dipendono anche dal ruolo e dalle intenzioni comunicative di ognuno
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coerente
|
['item_430_0.png']
|
2018_10_SIM_A
|
binaria
|
coerente
|
incoerente
| null |
null |
E3. Nei periodi che seguono il se introduce o una frase ipotetica o una frase interrogativa indiretta.
Indica la funzione sintattica del se in ciascun periodo.
a) Non mi hanno ancora detto se vengono a cena
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interrogativa indiretta
|
['item_469_0.png']
|
2018_10_SIM_E
|
binaria
|
ipotetica
|
interrogativa indiretta
| null |
null |
E3. Nei periodi che seguono il se introduce o una frase ipotetica o una frase interrogativa indiretta.
Indica la funzione sintattica del se in ciascun periodo.
b) Se mi chiedessero la strada per il Duomo non saprei rispondere
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ipotetica
|
['item_469_0.png']
|
2018_10_SIM_E
|
binaria
|
ipotetica
|
interrogativa indiretta
| null |
null |
E3. Nei periodi che seguono il se introduce o una frase ipotetica o una frase interrogativa indiretta.
Indica la funzione sintattica del se in ciascun periodo.
c) Vogliono partire oggi, ma se non si sbrigano…
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ipotetica
|
['item_469_0.png']
|
2018_10_SIM_E
|
binaria
|
ipotetica
|
interrogativa indiretta
| null |
null |
E3. Nei periodi che seguono il se introduce o una frase ipotetica o una frase interrogativa indiretta.
Indica la funzione sintattica del se in ciascun periodo.
d) Volevo sapere se avesse fame o sete, ma non capivo la sua lingua
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interrogativa indiretta
|
['item_469_0.png']
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2018_10_SIM_E
|
binaria
|
ipotetica
|
interrogativa indiretta
| null |
null |
E3. Nei periodi che seguono il se introduce o una frase ipotetica o una frase interrogativa indiretta.
Indica la funzione sintattica del se in ciascun periodo.
e) Possiamo parlare con calma se vieni a casa mia verso le otto
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ipotetica
|
['item_469_0.png']
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2018_10_SIM_E
|
binaria
|
ipotetica
|
interrogativa indiretta
| null |
null |
E3. Nei periodi che seguono il se introduce o una frase ipotetica o una frase interrogativa indiretta.
Indica la funzione sintattica del se in ciascun periodo.
f) Gli chiese se per caso avesse sentito suonare il campanello
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interrogativa indiretta
|
['item_469_0.png']
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2018_10_SIM_E
|
binaria
|
ipotetica
|
interrogativa indiretta
| null |
null |
C1. Il testo che segue è stato scritto senza accenti e senza apostrofi.
“Quel ragazzo non sta mai fermo, si muove un po troppo, corre su e giu, di qua e di la; non da mai segni di stanchezza…”
Per ognuna delle parole riportate di seguito Indica se, nel testo che hai letto, queste parole andavano scritte con l’accento, con l’apostrofo, oppure senza alcun segno grafico.
a) sta
|
senza segno grafico
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['item_525_0.png']
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2017_08_PN_C
|
binaria
|
accento
|
apostrofo
|
senza segno grafico
|
null |
C1. Il testo che segue è stato scritto senza accenti e senza apostrofi.
“Quel ragazzo non sta mai fermo, si muove un po troppo, corre su e giu, di qua e di la; non da mai segni di stanchezza…”
Per ognuna delle parole riportate di seguito Indica se, nel testo che hai letto, queste parole andavano scritte con l’accento, con l’apostrofo, oppure senza alcun segno grafico.
b) po
|
apostrofo
|
['item_525_0.png']
|
2017_08_PN_C
|
binaria
|
accento
|
apostrofo
|
senza segno grafico
|
null |
C1. Il testo che segue è stato scritto senza accenti e senza apostrofi.
“Quel ragazzo non sta mai fermo, si muove un po troppo, corre su e giu, di qua e di la; non da mai segni di stanchezza…”
Per ognuna delle parole riportate di seguito Indica se, nel testo che hai letto, queste parole andavano scritte con l’accento, con l’apostrofo, oppure senza alcun segno grafico.
c) su
|
senza segno grafico
|
['item_525_0.png']
|
2017_08_PN_C
|
binaria
|
accento
|
apostrofo
|
senza segno grafico
|
null |
C1. Il testo che segue è stato scritto senza accenti e senza apostrofi.
“Quel ragazzo non sta mai fermo, si muove un po troppo, corre su e giu, di qua e di la; non da mai segni di stanchezza…”
Per ognuna delle parole riportate di seguito Indica se, nel testo che hai letto, queste parole andavano scritte con l’accento, con l’apostrofo, oppure senza alcun segno grafico.
d) giu
|
accento
|
['item_525_0.png']
|
2017_08_PN_C
|
binaria
|
accento
|
apostrofo
|
senza segno grafico
|
null |
C1. Il testo che segue è stato scritto senza accenti e senza apostrofi.
“Quel ragazzo non sta mai fermo, si muove un po troppo, corre su e giu, di qua e di la; non da mai segni di stanchezza…”
Per ognuna delle parole riportate di seguito Indica se, nel testo che hai letto, queste parole andavano scritte con l’accento, con l’apostrofo, oppure senza alcun segno grafico.
e) qua
|
senza segno grafico
|
['item_525_0.png']
|
2017_08_PN_C
|
binaria
|
accento
|
apostrofo
|
senza segno grafico
|
null |
C1. Il testo che segue è stato scritto senza accenti e senza apostrofi.
“Quel ragazzo non sta mai fermo, si muove un po troppo, corre su e giu, di qua e di la; non da mai segni di stanchezza…”
Per ognuna delle parole riportate di seguito Indica se, nel testo che hai letto, queste parole andavano scritte con l’accento, con l’apostrofo, oppure senza alcun segno grafico.
f) la
|
accento
|
['item_525_0.png']
|
2017_08_PN_C
|
binaria
|
accento
|
apostrofo
|
senza segno grafico
|
null |
C1. Il testo che segue è stato scritto senza accenti e senza apostrofi.
“Quel ragazzo non sta mai fermo, si muove un po troppo, corre su e giu, di qua e di la; non da mai segni di stanchezza…”
Per ognuna delle parole riportate di seguito Indica se, nel testo che hai letto, queste parole andavano scritte con l’accento, con l’apostrofo, oppure senza alcun segno grafico.
g) da
|
accento
|
['item_525_0.png']
|
2017_08_PN_C
|
binaria
|
accento
|
apostrofo
|
senza segno grafico
|
null |
E7. Il suffisso -ino nelle parole sotto elencate ha tre funzioni diverse:
1) forma un diminutivo; 2) forma un nome di mestiere (agente); 3) forma un aggettivo.
Indica per ciascuna parola quale funzione ha -ino.
a) arrotino
|
nome di mestiere
|
['item_573_0.png']
|
2017_10_SNV_E
|
binaria
|
diminutivo
|
nome di mestiere
|
aggettivo
|
null |
E7. Il suffisso -ino nelle parole sotto elencate ha tre funzioni diverse:
1) forma un diminutivo; 2) forma un nome di mestiere (agente); 3) forma un aggettivo.
Indica per ciascuna parola quale funzione ha -ino.
b) bastoncino
|
diminutivo
|
['item_573_0.png']
|
2017_10_SNV_E
|
binaria
|
diminutivo
|
nome di mestiere
|
aggettivo
|
null |
E7. Il suffisso -ino nelle parole sotto elencate ha tre funzioni diverse:
1) forma un diminutivo; 2) forma un nome di mestiere (agente); 3) forma un aggettivo.
Indica per ciascuna parola quale funzione ha -ino.
c) spazzino
|
nome di mestiere
|
['item_573_0.png']
|
2017_10_SNV_E
|
binaria
|
diminutivo
|
nome di mestiere
|
aggettivo
|
null |
E7. Il suffisso -ino nelle parole sotto elencate ha tre funzioni diverse:
1) forma un diminutivo; 2) forma un nome di mestiere (agente); 3) forma un aggettivo.
Indica per ciascuna parola quale funzione ha -ino.
d) topolino
|
diminutivo
|
['item_573_0.png']
|
2017_10_SNV_E
|
binaria
|
diminutivo
|
nome di mestiere
|
aggettivo
|
null |
E7. Il suffisso -ino nelle parole sotto elencate ha tre funzioni diverse:
1) forma un diminutivo; 2) forma un nome di mestiere (agente); 3) forma un aggettivo.
Indica per ciascuna parola quale funzione ha -ino.
e) mascolino
|
aggettivo
|
['item_573_0.png']
|
2017_10_SNV_E
|
binaria
|
diminutivo
|
nome di mestiere
|
aggettivo
|
null |
E7. Il suffisso -ino nelle parole sotto elencate ha tre funzioni diverse:
1) forma un diminutivo; 2) forma un nome di mestiere (agente); 3) forma un aggettivo.
Indica per ciascuna parola quale funzione ha -ino.
f) marino
|
aggettivo
|
['item_573_0.png']
|
2017_10_SNV_E
|
binaria
|
diminutivo
|
nome di mestiere
|
aggettivo
|
null |
E7. Il suffisso -ino nelle parole sotto elencate ha tre funzioni diverse:
1) forma un diminutivo; 2) forma un nome di mestiere (agente); 3) forma un aggettivo.
Indica per ciascuna parola quale funzione ha -ino.
g) bagnino
|
nome di mestiere
|
['item_573_0.png']
|
2017_10_SNV_E
|
binaria
|
diminutivo
|
nome di mestiere
|
aggettivo
|
null |
E7. Il suffisso -ino nelle parole sotto elencate ha tre funzioni diverse:
1) forma un diminutivo; 2) forma un nome di mestiere (agente); 3) forma un aggettivo.
Indica per ciascuna parola quale funzione ha -ino.
h) settembrino
|
aggettivo
|
['item_573_0.png']
|
2017_10_SNV_E
|
binaria
|
diminutivo
|
nome di mestiere
|
aggettivo
|
null |
C6. Leggi le frasi che seguono e per ciascuna indica che cosa esprime.
a) Che ore sono?
|
dubbio
|
['item_1008_0.png']
|
2012_05_SNV_C
|
binaria
|
dubbio
|
certezza
| null |
null |
C6. Leggi le frasi che seguono e per ciascuna indica che cosa esprime.
b) Non lo so.
|
certezza
|
['item_1008_0.png']
|
2012_05_SNV_C
|
binaria
|
dubbio
|
certezza
| null |
null |
C6. Leggi le frasi che seguono e per ciascuna indica che cosa esprime.
c) Saranno le dieci.
|
dubbio
|
['item_1008_0.png']
|
2012_05_SNV_C
|
binaria
|
dubbio
|
certezza
| null |
Via Scarlatti
La poesia è stata scritta da Vittorio Sereni nel 1945, in occasione del suo trasloco in via Scarlatti a Milano. La seconda guerra mondiale era appena finita e Milano era stata pesantemente bombardata. Il poeta aveva già avuto esperienza diretta della guerra come soldato.
Con non altri che te
è il colloquio.
Non lunga tra due golfi di clamore
va, tutta case, la via;
ma l’apre d’un tratto uno squarcio
ove irrompono sparuti
monelli e forse il sole a primavera.
Adesso dentro lei par sera.
Oltre anche più s’abbuia,
è cenere e fumo la via.
Ma i volti i volti non so dire:
ombra più ombra di fatica e d’ira.
A quella pena irride
uno scatto di tacchi adolescenti,
l’improvviso sgolarsi d’un duetto
d’opera a un accorso capannello.
E qui t’aspetto.
(Vittorio Sereni, Gli strumenti umani in M.T. Sereni (a cura di) “Tutte le poesie”, Milano, Arnoldo Mondadori, 1986)
|
C2. Per ciascuno dei seguenti aspetti di via Scarlatti indica se è presente nella poesia o no.
1. Suoni e voci - si/no
|
si
|
['item_1126_0.png']
|
2012_10_SNV_C
|
binaria
|
si
|
no
| null |
Via Scarlatti
La poesia è stata scritta da Vittorio Sereni nel 1945, in occasione del suo trasloco in via Scarlatti a Milano. La seconda guerra mondiale era appena finita e Milano era stata pesantemente bombardata. Il poeta aveva già avuto esperienza diretta della guerra come soldato.
Con non altri che te
è il colloquio.
Non lunga tra due golfi di clamore
va, tutta case, la via;
ma l’apre d’un tratto uno squarcio
ove irrompono sparuti
monelli e forse il sole a primavera.
Adesso dentro lei par sera.
Oltre anche più s’abbuia,
è cenere e fumo la via.
Ma i volti i volti non so dire:
ombra più ombra di fatica e d’ira.
A quella pena irride
uno scatto di tacchi adolescenti,
l’improvviso sgolarsi d’un duetto
d’opera a un accorso capannello.
E qui t’aspetto.
(Vittorio Sereni, Gli strumenti umani in M.T. Sereni (a cura di) “Tutte le poesie”, Milano, Arnoldo Mondadori, 1986)
|
C2. Per ciascuno dei seguenti aspetti di via Scarlatti indica se è presente nella poesia o no.
2. Luci e ombre - si/no
|
si
|
['item_1126_0.png']
|
2012_10_SNV_C
|
binaria
|
si
|
no
| null |
Via Scarlatti
La poesia è stata scritta da Vittorio Sereni nel 1945, in occasione del suo trasloco in via Scarlatti a Milano. La seconda guerra mondiale era appena finita e Milano era stata pesantemente bombardata. Il poeta aveva già avuto esperienza diretta della guerra come soldato.
Con non altri che te
è il colloquio.
Non lunga tra due golfi di clamore
va, tutta case, la via;
ma l’apre d’un tratto uno squarcio
ove irrompono sparuti
monelli e forse il sole a primavera.
Adesso dentro lei par sera.
Oltre anche più s’abbuia,
è cenere e fumo la via.
Ma i volti i volti non so dire:
ombra più ombra di fatica e d’ira.
A quella pena irride
uno scatto di tacchi adolescenti,
l’improvviso sgolarsi d’un duetto
d’opera a un accorso capannello.
E qui t’aspetto.
(Vittorio Sereni, Gli strumenti umani in M.T. Sereni (a cura di) “Tutte le poesie”, Milano, Arnoldo Mondadori, 1986)
|
C2. Per ciascuno dei seguenti aspetti di via Scarlatti indica se è presente nella poesia o no.
3. Spazi - si/no
|
si
|
['item_1126_0.png']
|
2012_10_SNV_C
|
binaria
|
si
|
no
| null |
Via Scarlatti
La poesia è stata scritta da Vittorio Sereni nel 1945, in occasione del suo trasloco in via Scarlatti a Milano. La seconda guerra mondiale era appena finita e Milano era stata pesantemente bombardata. Il poeta aveva già avuto esperienza diretta della guerra come soldato.
Con non altri che te
è il colloquio.
Non lunga tra due golfi di clamore
va, tutta case, la via;
ma l’apre d’un tratto uno squarcio
ove irrompono sparuti
monelli e forse il sole a primavera.
Adesso dentro lei par sera.
Oltre anche più s’abbuia,
è cenere e fumo la via.
Ma i volti i volti non so dire:
ombra più ombra di fatica e d’ira.
A quella pena irride
uno scatto di tacchi adolescenti,
l’improvviso sgolarsi d’un duetto
d’opera a un accorso capannello.
E qui t’aspetto.
(Vittorio Sereni, Gli strumenti umani in M.T. Sereni (a cura di) “Tutte le poesie”, Milano, Arnoldo Mondadori, 1986)
|
C2. Per ciascuno dei seguenti aspetti di via Scarlatti indica se è presente nella poesia o no.
4. Veicoli - si/no
|
no
|
['item_1126_0.png']
|
2012_10_SNV_C
|
binaria
|
si
|
no
| null |
Via Scarlatti
La poesia è stata scritta da Vittorio Sereni nel 1945, in occasione del suo trasloco in via Scarlatti a Milano. La seconda guerra mondiale era appena finita e Milano era stata pesantemente bombardata. Il poeta aveva già avuto esperienza diretta della guerra come soldato.
Con non altri che te
è il colloquio.
Non lunga tra due golfi di clamore
va, tutta case, la via;
ma l’apre d’un tratto uno squarcio
ove irrompono sparuti
monelli e forse il sole a primavera.
Adesso dentro lei par sera.
Oltre anche più s’abbuia,
è cenere e fumo la via.
Ma i volti i volti non so dire:
ombra più ombra di fatica e d’ira.
A quella pena irride
uno scatto di tacchi adolescenti,
l’improvviso sgolarsi d’un duetto
d’opera a un accorso capannello.
E qui t’aspetto.
(Vittorio Sereni, Gli strumenti umani in M.T. Sereni (a cura di) “Tutte le poesie”, Milano, Arnoldo Mondadori, 1986)
|
C2. Per ciascuno dei seguenti aspetti di via Scarlatti indica se è presente nella poesia o no.
5. Acqua e nebbia - si/no
|
no
|
['item_1126_0.png']
|
2012_10_SNV_C
|
binaria
|
si
|
no
| null |
Via Scarlatti
La poesia è stata scritta da Vittorio Sereni nel 1945, in occasione del suo trasloco in via Scarlatti a Milano. La seconda guerra mondiale era appena finita e Milano era stata pesantemente bombardata. Il poeta aveva già avuto esperienza diretta della guerra come soldato.
Con non altri che te
è il colloquio.
Non lunga tra due golfi di clamore
va, tutta case, la via;
ma l’apre d’un tratto uno squarcio
ove irrompono sparuti
monelli e forse il sole a primavera.
Adesso dentro lei par sera.
Oltre anche più s’abbuia,
è cenere e fumo la via.
Ma i volti i volti non so dire:
ombra più ombra di fatica e d’ira.
A quella pena irride
uno scatto di tacchi adolescenti,
l’improvviso sgolarsi d’un duetto
d’opera a un accorso capannello.
E qui t’aspetto.
(Vittorio Sereni, Gli strumenti umani in M.T. Sereni (a cura di) “Tutte le poesie”, Milano, Arnoldo Mondadori, 1986)
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C2. Per ciascuno dei seguenti aspetti di via Scarlatti indica se è presente nella poesia o no.
6. Persone - si/no
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si
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2012_10_SNV_C
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binaria
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si
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no
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Il primo giorno del mese di aprile ne succedono davvero di tutti i colori: può comparire il sale nella zuccheriera o potreste trovare delle monete sul pavimento… ma è impossibile raccoglierle perché sono incollate…
v 1 ………
Ma come è nata questa curiosa tradizione? Per capire come è nata la tradizione di fare gli scherzi nel primo giorno di aprile dobbiamo tornare indietro con la macchina del tempo di almeno cinque secoli e spostarci in Francia. Fu qui che, intorno alla fine de l XVI secolo, si contestò la decisione di papa Gregorio XIII il quale aveva cambiato il calendario, adottandone uno nuovo. Il calendario precedente prevedeva che il nuovo anno venisse festeggiato tra il 25 marzo e il 1° aprile, giorno, quest’ultimo, dedicato a banchetti, brindisi e scambi di doni. Con l’avvento del nuovo calendario, il Capodanno fu spostato al primo di gennaio. Come spesso succede davanti alle novità, non tutti accolsero la notizia con entusiasmo e negli anni successivi c’era ancora chi si ostinava a festeggi are Capodanno il 1° aprile. Fu così che nacque il “pesce d’aprile”: le “teste dure” diventarono bersaglio di burle e scherzi bonari e furono additati da tutti come sciocchi di aprile.
La tradizione dalla Francia si diffuse in tutti i Paesi in cui fu adottato il nuovo calendario, chiamato “gregoriano”.
v 2 ………
Che cosa c’entrano i pesci? Anche per questo c’è una spiegazione ed è che i pesci abboccano facilmente all’amo, come le vittime delle burle “abboccano” all’inganno. Va detto però che, a volte, è veramente difficile non cascarci, anche perché la fantasia non ha limiti e gli scherzi nemmeno... possono passare dalle aule di scuola ai parco-giochi, dalla televisione ai siti web. Due anni fa, per esempio, un sito di notizie sul calcio riferì che un famosissimo giocatore dell’FC Barcelona aveva acce ttato un contratto da 500 milioni di euro per passare al Real Madrid, la squadra rivale, per cinque anni.
Nessuno fece caso al fatto che l’articolo era firmato “Lirpa Loof” (Fool April, pesce d’aprile in inglese, scritto al contra rio) e tra i tifosi si scatenò il panico.
Qualche anno prima, invece, Patrick Moore, famoso astronomo e conduttore radiofonico inglese, annunciò che un eccezionale allineamento di Plutone e Giove, previsto per le 9 e 47 della mattina del primo aprile, avrebbe annullato gli effetti della gravità terrestre e tu tti gli abitanti del pianeta avrebbero iniziato a fluttuare come gli astronauti nello spazio! Alcuni anni fa un sito inglese presentò la corsa dei cavallucci marini e una compagnia aerea pubblicizzò un aereo che sbatte le ali… Tutto falso!!! Nel 2008 un presentatore della tv inglese BBC2 mostrò un video su una nuova specie di pinguini: i pinguini volanti! Gli animali, dopo una corsa sul ghiaccio, prendevano il volo e si alzavano in cielo ad ali spiegate. Il filmato lasciò tutti a bocca aperta: mai nessuno prima di allora aveva visto i pinguini volare. E non a caso! Il video infatti era una bufala per il primo di aprile. Nei giorni successivi, in un altro video, spiegarono il trucco: i pinguini volanti non erano veri, ma disegnati copiando quelli di alcune riprese girate in precedenza. In altre parole la corsa dei pinguini era vera ma il volo era stato aggiunto in seguito.
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B11. Dopo le tre righe introduttive, il testo è diviso in due paragrafi. Qual è il titolo appropriato per ciascun paragrafo?
Collega con una linea il titolo che corrisponde a ciascuno dei due paragrafi.
Attenzione: ci sono due titoli in più.
a) Alle origini di un’usanza diffusa Primo paragrafo - Secondo paragrafo
b) Storia di un personaggio famoso Primo paragrafo - Secondo paragrafo
c) Pesce d’aprile: un animale simbolo per tanti scherzi ben riusciti Primo paragrafo - Secondo paragrafo
d)Animali sfortunati e scherzi poco credibili Primo paragrafo - Secondo paragrafo
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Primo paragrafo: Alle origini di un’usanza diffusa Secondo paragrafo: Pesce d’aprile: un animale simbolo per tanti scherzi ben riusciti
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2023_05_SNV_B
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altro
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SERENDIPITY: LE INVENZIONI NATE PER CASO
Ti è mai capitato di avere un'illuminazione mentre pensavi ad altro? Allora anche tu sei stato vittima della “serendipità”.
Paragrafo 1.
Un’antica favola persiana narra di tre principi, figli di
Jafer, re di Serendip (antico nome di Ceylon, attuale Sri-
Lanka), che durante il loro viaggio alla scoperta del
mondo scoprono continuamente, per caso e per intuito,
cose che non stavano cercando: piante, animali, pietre
preziose e oggetti sconosciuti.
Dal titolo della favola “Viaggi e avventure dei tre Principi di Serendip”, lo scrittore britannico Horace Walpole, nel
1754, inventò il termine serendipity per indicare una
scoperta fatta per caso mentre si sta cercando
qualcos'altro, come accadde ai tre principi.
II meccanismo di queste scoperte è simile a quello che succede a voi quando vi viene in mente la soluzione a un problema di matematica mentre state pensando a tutt'altro, tipo il compito di italiano o la partita di calcio.
Un celebre esempio di serendipità ce lo dà Cristoforo Colombo: nel 1492 scoprì l'America mentre cercava un passaggio verso occidente per arrivare alle Indie.
Paragrafo 2. PER CASO, MA STUDIATE
Solo dagli anni Trenta del ‘900, però, grazie a Walter B. Cannon, professore di fisiologia della Harvard Medical School, il termine viene associato alle invenzioni nate per caso (o per sbaglio) in campo scientifico. Se oggi cercate sul dizionario la parola “serendipità”, infatti, trovate questa definizione: “capacità di rilevare e interpretare correttamente un fenomeno occorso in modo del tutto casuale durante una ricerca scientifica orientata verso altri campi di indagine”.
Tuttavia il caso non basta per fare scoperte così: lo scienziato francese Louis Pasteur diceva che “nel campo dell’osservazione la casualità favorisce solo le menti preparate”, in grado insomma di notare l’imprevisto e renderlo costruttivo.
DALL’ANTIBIOTICO... AL DOLCE
Oltre al caso, infatti, ci vuole l’intuito,
affina grazie a una solida
preparazione, come quella che avevano
Alexander Fleming e Wilhelm Réntgen,
della
penicillina e dei raggi X (leggi le storie
nei riquadri), scoperte per caso, ma
comunque nel corso di esperimenti
scientifici.
RAGGI X
L'8 novembre del 1895, 120 anni fa, il
fisico tedesco Wilhelm Ròntgen scoprì
per caso l’esistenza dei raggi X, novità
che nel giro di pochi mesi avrebbe
rivoluzionato la medicina: l’anno
successivo nel Regno Unito era già in
funzione il primo dipartimento di
radiologia all’interno di un ospedale e
nel giro di poco tempo i raggi X
cominciarono ad essere usati in tutto
il mondo per ottenere immagini delle
fratture di ossa e di ferite d'arma da
fuoco. Nel 1901 la scoperta fece
vincere a Ròntgen il premio Nobel.
LA PENICILLINA
Qualcuno sostiene che già gli egizi
usassero la penicillina per curare le
infezioni. Peccato che non avessero
scritto la ricetta! Duemila e 500 anni
dopo, nel 1929, il medico scozzese
Alexander Fleming riparò la
dimenticanza. Infatti, si accorse che
su un vetrino di coltura batterica
contaminato dalla muffa, la crescita
dei batteri si era interrotta.
Incuriosito volle approfondire la cosa
e inventò il primo antibiotico, uno dei
mezzi più potenti che abbiamo per
curare le malattie!
Fu invece proprio un caso se il
chimico James Schlatter nel 1965
scoprì un dolcificante: per girare le
pagine di un libro, si leccò il dito
sporco di aspartame, che quel giorno
aveva sintetizzato per fare
esperimenti su un farmaco anti-
ulcera. Assaggiandolo scoprì che era
dolce come lo zucchero, ma ci vollero
quasi 10 anni perché fosse approvato
il suo utilizzo in campo alimentare e
dietetico.
Paragrafo 4. INVENZIONI CREATIVE
A volte la serendipità non viene dall'essere i primi a vedere qualcosa, ma dall'essere il primo a vederlo in un modo nuovo. Come fece Percy Spencer quando notò che le microonde dal magnetron (strumento inventato nel 1921 che generava le microonde del segnale radar) avevano sciolto la barretta di cioccolato nella sua tasca.
Non era stato il primo a notare che le microonde generavano calore, ma è stato l’unico a pensare di utilizzarle per cucinare cibo.
Nella figura del suo brevetto appare la prima cosa che Spencer e i suoi colleghi provarono a cucinare col nuovo forno: il pop-corn.
E come finisce la storia dei principi di Serendip?
A furia di scoprire le cose per caso o per intuito, divennero i più saggi di tutto il regno.
(Tratto e adattato da: www.focusjunior.it; www.ilpost.it)
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B5. Il titolo del Paragrafo 3 è “DALL’ANTIBIOTICO… AL DOLCE”. In questo paragrafo viene chiarito qual è l’antibiotico e qual è il dolce di cui si parla nel titolo.
Scrivi qual è l’antibiotico e qual è il dolce.
Antibiotico: ...............................................................................................
Dolce: .......................................................................................................
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1. Antibiotico: PENICILLINA 2. Dolce: ASPARTAME
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['item_71_0.png']
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2022_05_SNV_B
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altro
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Ecco i personaggi del racconto che leggerai:
Lisa è la bambina
che racconta
quello che è
successo nella
storia che leggerai.
Ha 7 anni e
vive in un paesino
dove non ci si
annoia mai.
Anna
Anna ha la stessa età di Lisa ed
è la sua grande amica. Quando
si tratta di giocare non si tira
mai indietro, neanche di fronte
ai giochi più avventurosi.
Questo è il nonno di Anna. Quando era
bambino è rimasto orfano, non era felice ed è
scappato di casa. Ora sta spesso con Anna e
Lisa, ricorda con loro le avventure che ha
vissuto e gioca con loro.
I pezzettini di testo vicino ai personaggi danno informazioni che permettono di rispondere alle domande che trovi sotto.
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A2. Chi ha sette anni?
A) Lisa
B) Anna
C) Nonno
D) Il testo non lo dice
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A, B
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['item_87_0.png']
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2021_02_SNV_A
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altro
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Ecco i personaggi del racconto che leggerai:
Lisa è la bambina
che racconta
quello che è
successo nella
storia che leggerai.
Ha 7 anni e
vive in un paesino
dove non ci si
annoia mai.
Anna
Anna ha la stessa età di Lisa ed
è la sua grande amica. Quando
si tratta di giocare non si tira
mai indietro, neanche di fronte
ai giochi più avventurosi.
Questo è il nonno di Anna. Quando era
bambino è rimasto orfano, non era felice ed è
scappato di casa. Ora sta spesso con Anna e
Lisa, ricorda con loro le avventure che ha
vissuto e gioca con loro.
I pezzettini di testo vicino ai personaggi danno informazioni che permettono di rispondere alle domande che trovi sotto.
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A3. Chi appartiene alla stessa famiglia?
- Lisa
- Anna
- Nonno
- Il testo non lo dice
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Anna, il nonno
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2021_02_SNV_A
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altro
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C10. Leggi le seguenti frasi e cerchia le parole che sono scritte in minuscolo ma che devono essere scritte con la lettera iniziale maiuscola.
Attenzione: ogni cerchio deve contenere una sola parola, e in ogni frase ci sono più parole da cerchiare.
1. Ogni mattina aspetto il mio amico giorgio in via roma ma lui è sempre in ritardo.
2. Un leone disse a un topo: “ti prego, corri a chiamare aiuto! sono intrappolato in questa rete, da solo non riesco a liberarmi”.
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1. Giorgio; Via Roma 2. Ti; Sono
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['item_140_0.png']
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2021_05_SNV_C
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altro
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L'ORSO
SE TU FOSSI UN ORSO...
... ti arrampicheresti sugli alberi, nuoteresti benissimo, saresti molto forte e sapresti anche pulire il pesce.
Passeresti il tempo ad annusare.
Il naso dell'orso è molto sensibile:
può fiutare un pericolo, la presenza di cibo
e di altri orsi.
Avresti una pelliccia folta.
È abitata da pidocchi,
pulci e formiche, però
protegge l'orso dal
freddo e dagli artigli dei
nemici.
Avresti artigli lunghi 10 centimetri.
Servono all’orso per arrampicarsi
sugli alberi o scavare buche. Non
sono retrattili.
Quando arriva l’inverno, l'orso si chiude in una caverna o in una tana e dorme per diversi mesi: va in letargo. Quando la primavera ritorna, si sveglia, dimagrito e pronto a riprendere la vita normale.
(Tratto e adattato da: D. Grinberg, L'orso, Trieste-Firenze, Editoriale Scienza, 2014)
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A3. Segui la freccia che parte dagli artigli dell’orso. Il pezzetto di testo
collegato dice che l’orso ha artigli lunghi 10 cm. Perché l’orso ha
artigli così lunghi? Nel testo ci sono due informazioni che
rispondono a questa domanda. Copiale.
Gli artigli servono all’orso
per .........................................................................................................
e per ......................................................................................................
|
arrampicarsi sugli alberi, scavare buche
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['item_143_0.png']
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2019_02_SNV_A
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altro
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SCIENZIATI IN CASA
Introduzione
Materia, energia e forza sono indagate dagli scienziati.
Ovunque tu sia, tutto quello che ti circonda è fatto di materia: per esempio quello che indossi, che mangi e anche il tuo stesso corpo e l’aria che respiri.
Tutta la materia è composta di piccolissime particelle, gli atomi, a loro volta fatti di particelle ancora più minuscole.
Tutti gli eventi, dalla scarica di un fulmine all’allacciarsi le scarpe, sono possibili grazie all'energia. Senza energia niente potrebbe succedere: per esempio persone e animali usano energia ricavata dal cibo per camminare e correre, le piante crescono grazie all'energia del sole.
Ogni volta che un oggetto cambia il modo di muoversi, cioè la sua velocità, è in gioco una forza: per esempio c'è bisogno di una forza per metterlo in movimento, o per arrestarlo; occorre una forza anche solo per aumentare o diminuire la sua velocità. Una forza può anche essere responsabile della deformazione o della rottura di qualcosa, e ci sono forze che tengono assieme le cose.
Di seguito troverai alcuni esperimenti per scoprire una proprietà della materia: l’impenetrabilità!. Per fare questi esperimenti ti servono cose e materiali della vita di ogni giorno, facili da trattare e trovare (spesso sono presenti in casa).
Cerca di organizzare un angolo tutto tuo della casa (garage, veranda, camera) dove poter tenere l'attrezzatura e lavorare senza intralci per il resto della famiglia.
Materia
L’impenetrabilità
La parola impenetrabilità indica una proprietà di certi corpi che si manifesta intorno a te in mille modi; significa che due corpi non possono occupare contemporaneamente la stessa regione di spazio: ad esempio lo spazio occupato da un libro sul tavolo non può essere “contemporaneamente” occupato da un altro libro.
Un bicchiere pieno d’aria non può contenere contemporaneamente dell’acqua: se ci versi dentro l’acqua, l’aria deve uscire. Se, con qualche accorgimento, impedisci all'aria di uscire, l’acqua entrerà fino a un certo punto, comprimendo l’aria, ma poi si fermerà. Sperimentalo con un bicchiere, un cartoncino e un grande vaso di vetro pieno a metà di acqua.
* Ritaglia un dischetto di cartoncino largo
quanto il fondo interno del bicchiere, in
modo che aderisca al fondo, senza cadere,
anche a bicchiere capovolto.
* Immergi lentamente il bicchiere capovolto
nel vaso: l’acqua salirà all’interno del
bicchiere per qualche millimetro, ma poi si
fermerà.
* Anche a bicchiere completamente
sommerso e tenuto premuto sul fondo del
vaso, l’acqua rimarrà sempre allo stesso
livello e il cartoncino non si bagnerà.
LE CAMPANE SUBACQUEE
Usate dai primi esploratori sottomarini, funzionavano come il bicchiere rovesciato dell'esperimento, trattenendo l’aria e
consentendo la respirazione dei subacquei. | primi esperimenti risalgono al 1538, in Spagna, ma si dice che Alessandro Magno ne abbia usata una nel 332 a.C.
L’acqua in bottiglia - ESPERIMENTO 2
Dato che aria e acqua non possono occupare contemporaneamente lo stesso spazio, se si versa dell’acqua in una bottiglia, l’aria che è all’interno deve uscire.
Lo vedrai con questa prova, per la quale ti servono una bottiglia a collo piuttosto largo, un piccolo imbuto di plastica, una cannuccia da bibite piegabile, un po’ di plastilina e una candela.
* Infila nella bocca della bottiglia l’imbuto e
la cannuccia da bibite, piegata quasi ad
angolo retto (osserva il disegno). Tappa
ermeticamente con la plastilina tutti i vuoti
all'imboccatura della bottiglia,
* Accendi la candela e sistemala all’altezza
dello sbocco della cannuccia. Ora versa
l’acqua nell’imbuto. Noterai che man
mano che il liquido entra nella bottiglia la
fiamma si piega: l’aria, scacciata
dall'acqua, esce dalla cannuccia e soffia
sulla candela.
(Tratto e adattato da: L. Pizzorni, !/ manuale del giovane scienziato, Milano, Fabbri Editori, 1980)
|
B1. Questo testo è tratto da un libro. Nell’INTRODUZIONE, che hai appena
letto, si dice quali altri argomenti, oltre alla materia, saranno trattati
nel libro. Quali?
a) Un altro argomento è ..............................................................
b) Un altro argomento è`..............................................................
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Energia, Forza
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['item_170_0.png']
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2019_05_SNV_B
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altro
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Nella pagina che segue trovi un articolo sulle emozioni che è stato diviso in tre parti.
PARTE 1
CHE COSA SONO LE EMOZIONI?
Paura, rabbia, gioia e tristezza
così diverse, ma con un punto in comune:
sono tutte emozioni
UNA REAZIONE
Cuore che batte all'impazzata, viso che diventa rosso, occhi che si riempiono di lacrime...
Un'emozione è la reazione del corpo e della mente di fronte a un avvenimento della vita.
E non c'è bisogno di trovarsi davanti a grandi occasioni perché ne scatti una: succede spessissimo!
UN MOTIVO C'È
La natura ha fatto le cose per bene: da sempre le emozioni ci spingono a compiere quelle azioni necessarie alla sopravvivenza della specie.
Il piacere ci porta a nutrirci e riprodurci, la paura ci induce a proteggerci, la rabbia ci fa affrontare di slancio gli avversari. La ricerca di “sensazioni forti” ci spinge ad avventurarci nell’ignoto... ed è la stessa che ha spinto i nostri antenati alla conquista di nuovi territori!
IL SALE DELLA VITA
Immagina di non provare mai gioia, rabbia, paura, amore. Senza emozioni saresti come un robot: analizzeresti con freddezza matematica le situazioni e non avresti voglia di fare nulla! Per fortuna le emozioni esistono: sono loro a rendere la vita così interessante!
PARTE 2
EMOZIONE, SENTIMENTO,
UMORE... dov'è la differenza?
Stabilire qual è il confine tra emozione, sentimento, carattere e umore non è semplice Non c'è ancora una teoria che metta d'accordo tutti gli specialisti
CONFINI INDEFINITI
Come si fa a distinguere tra emozione, carattere e sentimento? | professionisti suggeriscono di aiutarsi con alcune domande: la sensazione che proviamo arriva in automatico e molto velocemente? Probabile che sia un'emozione.
Dura molto? Forse è il carattere. Mette in gioco la coscienza? Allora è un sentimento.
LA SCIA DELL’UMORE
Dopo essere stata provata e memorizzata, un'emozione svanisce in fretta. A
volte, però, abbiamo l'impressione che continui a vagare dentro di noi in una forma più leggera: può durare così a lungo che non ricordiamo più che cosa l'abbia fatta scattare. Ci sentiamo leggermente tristi o, al contrario, un po’ allegri. Questo è l'umore: uno stato emotivo che “dà colore” alle nostre giornate! Quando siamo innamorati “vediamo tutto rosa”, mentre ci sono giorni “neri” in cui tutto sembra andare storto...
CHE CARATTERINO
Per scoprire il carattere di qualcuno, bisogna osservare come si comporta in situazioni diverse: come reagisce, quali scelte compie, quali decisioni prende...
Ognuno ha il proprio modo di vivere: dipende da com'è fatto e da ciò che ha imparato. Mentre l'emozione scatta in un momento preciso, il carattere si rivela nel tempo, giorno dopo giorno!
EMOZIONE E SENTIMENTO
Emozione e sentimento sono intimamente legati. Incontrare una persona può far scattare un'emozione: il cervello e il corpo reagiscono quasi in automatico, poi, dopo aver preso coscienza dell’emozione, iniziamo a riflettere.
PARTE 3
Nella vita le emozioni sono indispensabili e multiuso...
come un coltellino svizzero
Quando viviamo una giornata ricca di emozioni, diciamo “questo giorno non lo dimenticherò mai”... ed è vero! Ricorderemo i particolari di una grande partita, mentre dimenticheremo quelli di un allenamento. | ricordi si radicano meglio nella memoria quando sono legati a un'emozione, d'altronde emozioni e ricordi si formano in due zone vicine del cervello.
Pensa allo spavento nell’incontrare una tigre dai denti a sciabola o al lungo disgusto davanti a un fungo velenoso: emozioni come queste hanno sicuramente salvato i nostri antenati preistorici! Oggi la vita è diversa, ma le emozioni continuano a proteggerci e a farci adattare a qualsiasi situazione.
Gestire una lite con un amico, reagire di fronte a un’ingiustizia, metterci al sicuro da un’auto che corre all'impazzata...
Sotto l'influenza delle emozioni, il corpo diventa un vero chiacchierone! Postura, rossore, pallore, brividi, lacrime, sudore, grida... Sono tutte manifestazioni esteriori che danno informazioni utili a chi ci sta vicino.
Insomma, le emozioni ci permettono di comunicare come un vero e proprio linguaggio!
Un'emozione è un segnale d'allarme: quando sopraggiunge, significa che il corpo e il cervello hanno individuato qualcosa d’insolito. L'emozione serve anche a mettere in guardia chi ci circonda. Ad esempio, vedere qualcuno che mostra segni di paura o rabbia attira la
nostra attenzione: ne cerchiamo di capire la causa e,
non appena l'abbiamo trovata, ci prepariamo a reagire.
A volte le emozioni possono spingerci verso scelte sbagliate: na decisione importante presa in un momento di rabbia,
un acquisto fatto seguendo un desiderio irresistibile...
Più spesso, però, le emozioni ci aiutano a fare le sceltegiuste, senza bisono, di pensarci troppo.
|
B7. Nel diario di Matilde si possono leggere questi pensieri.
Riconosci e scrivi in ogni pagina se i pensieri di Matilde si riferiscono a emozione, sentimento, carattere o
umore.
Una pagina ha già la risposta.
Oggi Lucia a danza mi ha fatto lo sgambetto e sono caduta: in quel momento mi è sembrato di avere un vulcano nella pancia e avrei voluto tirarle i capelli.
.............................................emozione..............................
Pagina 1) Che bello! Anche se piove mi sembra che intorno a me splenda il sole!!! Forse è perché Sara mi ha dato l'invito per il suo compleanno. Ci speravo proprio!
...................................................................................................
Pagina 2) Con Anna abbiamo passato tanti bei momenti insieme. Anche adesso che si è trasferita in un'altra città ci sentiamo spesso. Le voglio proprio bene.
...................................................................................................
Pagina 3) A scuola sono attenta e mi impegno, eppure quando la maestra chiede la mia opinione davanti a tutti mi blocco sempre. È più forte di me, sono fatta così!
...................................................................................................
|
Pagina 1 umore Pagina 2 sentimento Pagina 3 carattere
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['item_306_0.png']
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2018_05_SNV_B
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altro
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Nella pagina che segue trovi un articolo sulle emozioni che è stato diviso in tre parti.
PARTE 1
CHE COSA SONO LE EMOZIONI?
Paura, rabbia, gioia e tristezza
così diverse, ma con un punto in comune:
sono tutte emozioni
UNA REAZIONE
Cuore che batte all'impazzata, viso che diventa rosso, occhi che si riempiono di lacrime...
Un'emozione è la reazione del corpo e della mente di fronte a un avvenimento della vita.
E non c'è bisogno di trovarsi davanti a grandi occasioni perché ne scatti una: succede spessissimo!
UN MOTIVO C'È
La natura ha fatto le cose per bene: da sempre le emozioni ci spingono a compiere quelle azioni necessarie alla sopravvivenza della specie.
Il piacere ci porta a nutrirci e riprodurci, la paura ci induce a proteggerci, la rabbia ci fa affrontare di slancio gli avversari. La ricerca di “sensazioni forti” ci spinge ad avventurarci nell’ignoto... ed è la stessa che ha spinto i nostri antenati alla conquista di nuovi territori!
IL SALE DELLA VITA
Immagina di non provare mai gioia, rabbia, paura, amore. Senza emozioni saresti come un robot: analizzeresti con freddezza matematica le situazioni e non avresti voglia di fare nulla! Per fortuna le emozioni esistono: sono loro a rendere la vita così interessante!
PARTE 2
EMOZIONE, SENTIMENTO,
UMORE... dov'è la differenza?
Stabilire qual è il confine tra emozione, sentimento, carattere e umore non è semplice Non c'è ancora una teoria che metta d'accordo tutti gli specialisti
CONFINI INDEFINITI
Come si fa a distinguere tra emozione, carattere e sentimento? | professionisti suggeriscono di aiutarsi con alcune domande: la sensazione che proviamo arriva in automatico e molto velocemente? Probabile che sia un'emozione.
Dura molto? Forse è il carattere. Mette in gioco la coscienza? Allora è un sentimento.
LA SCIA DELL’UMORE
Dopo essere stata provata e memorizzata, un'emozione svanisce in fretta. A
volte, però, abbiamo l'impressione che continui a vagare dentro di noi in una forma più leggera: può durare così a lungo che non ricordiamo più che cosa l'abbia fatta scattare. Ci sentiamo leggermente tristi o, al contrario, un po’ allegri. Questo è l'umore: uno stato emotivo che “dà colore” alle nostre giornate! Quando siamo innamorati “vediamo tutto rosa”, mentre ci sono giorni “neri” in cui tutto sembra andare storto...
CHE CARATTERINO
Per scoprire il carattere di qualcuno, bisogna osservare come si comporta in situazioni diverse: come reagisce, quali scelte compie, quali decisioni prende...
Ognuno ha il proprio modo di vivere: dipende da com'è fatto e da ciò che ha imparato. Mentre l'emozione scatta in un momento preciso, il carattere si rivela nel tempo, giorno dopo giorno!
EMOZIONE E SENTIMENTO
Emozione e sentimento sono intimamente legati. Incontrare una persona può far scattare un'emozione: il cervello e il corpo reagiscono quasi in automatico, poi, dopo aver preso coscienza dell’emozione, iniziamo a riflettere.
PARTE 3
Nella vita le emozioni sono indispensabili e multiuso...
come un coltellino svizzero
Quando viviamo una giornata ricca di emozioni, diciamo “questo giorno non lo dimenticherò mai”... ed è vero! Ricorderemo i particolari di una grande partita, mentre dimenticheremo quelli di un allenamento. | ricordi si radicano meglio nella memoria quando sono legati a un'emozione, d'altronde emozioni e ricordi si formano in due zone vicine del cervello.
Pensa allo spavento nell’incontrare una tigre dai denti a sciabola o al lungo disgusto davanti a un fungo velenoso: emozioni come queste hanno sicuramente salvato i nostri antenati preistorici! Oggi la vita è diversa, ma le emozioni continuano a proteggerci e a farci adattare a qualsiasi situazione.
Gestire una lite con un amico, reagire di fronte a un’ingiustizia, metterci al sicuro da un’auto che corre all'impazzata...
Sotto l'influenza delle emozioni, il corpo diventa un vero chiacchierone! Postura, rossore, pallore, brividi, lacrime, sudore, grida... Sono tutte manifestazioni esteriori che danno informazioni utili a chi ci sta vicino.
Insomma, le emozioni ci permettono di comunicare come un vero e proprio linguaggio!
Un'emozione è un segnale d'allarme: quando sopraggiunge, significa che il corpo e il cervello hanno individuato qualcosa d’insolito. L'emozione serve anche a mettere in guardia chi ci circonda. Ad esempio, vedere qualcuno che mostra segni di paura o rabbia attira la
nostra attenzione: ne cerchiamo di capire la causa e,
non appena l'abbiamo trovata, ci prepariamo a reagire.
A volte le emozioni possono spingerci verso scelte sbagliate: na decisione importante presa in un momento di rabbia,
un acquisto fatto seguendo un desiderio irresistibile...
Più spesso, però, le emozioni ci aiutano a fare le sceltegiuste, senza bisono, di pensarci troppo.
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B9. Anche questa parte di testo, come le precedenti, è stata suddivisa dagli autori in paragrafi che, insieme,
rispondono alla domanda del titolo “A che cosa servono le emozioni?”. I titoletti dei paragrafi sono stati tolti.
Qual è il titoletto di ciascun paragrafo?
Scrivi accanto a ogni titoletto il numero, da 1 a 5, del paragrafo corrispondente.
Attenzione! Nell'elenco è presente un titoletto in più.
A che cosa servono le emozioni?
a) Per decidere
b) Per pensare
c) Per dare l'allarme
d) Per proteggerci
e) Per ricordare
f) Per esprimersi
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a) 5 b) VUOTO c) 4 d) 2 e) 1 f) 3
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['item_308_0.png']
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2018_05_SNV_B
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altro
| null | null | null |
null |
C1. Nelle frasi che seguono ad alcune parole manca la lettera h. Scrivila nel quadratino solo quando è necessaria
a) Ieri..... ai grandi magazzini.......o comprato il cappotto nuovo e........o deciso di metterlo oggi.
b) Domani andremo ......a Roma a..... trovare la zia. La mamma ......a già i biglietti del treno.
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1. no 2. si 3. si 4. no 5. no 6. si
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Demografia. Dove ci porterà l’aumento della popolazione
Secondo l’UNFPA, l’agenzia internazionale dell’ONU per lo sviluppo, il 31 ottobre 2011 è nato l’abitante numero sette miliardi del nostro pianeta. Si tratta di una data simbolica. Non è possibile, infatti, misurare con precisione l’evolvere della popolazio ne mondiale momento per momento, non disponendo di statistiche affidabili su tutti i Paesi, in particolare quelli in via di sviluppo. Ad ogni modo, l’evento ha stimolato il dibattito sul futuro della popolazione mondiale e sollecitato quesiti come il segue nte: nei prossimi decenni il nostro pianeta sarà capace di sfamare, vestire e riscaldare una popolazione ancora più numerosa che mira ad avere standard di vita sempre più elevati? Prima di azzardare una risposta, ripercorriamo brevemente l’evoluzione della popolazione mondiale. Nei primi millenni di storia dell’umanità la crescita demografica è stata molto lenta: il miliardesimo abitante nacque intorno al 1800 ma bastò solo un altro secolo per toccare quota due miliardi. Nel XX secolo, la crescita demografi ca è stata inizialmente ancora più rapida e all’inizio degli anni Sessanta la popolazione mondiale ha toccato il suo terzo miliardo. In seguito, ogni 12 -13 anni si è avuto un aumento di un ulteriore miliardo, fino ai sette miliardi odierni.
Con l’aumentare della popolazione mondiale è ovviamente cresciuto anche il consumo di energia, ma con modalità ben differe nti da un Paese all’altro, legate soprattutto al tenore di vita dei singoli contesti.
Attraverso un indicatore come l’impronta ecologica, introdotto da Mathis Wackernagel, ambientalista fondatore dello Human Footprint Institute , è possibile valutare con ap prossimazione la sostenibilità del consumo di risorse naturali complessivo e da parte di ogni singolo Paese. In sintesi, l’impronta ecologica misura di quanta superficie, in termini di terra e acqua, una popolazione ha bisogno per produrre, con la tecnolog ia disponibile, le risorse che consuma e per smaltire i rifiuti prodotti.
Basandosi su questo indicatore, l’ Ecological Footprint Atlas 2010 sostiene che, a partire dalla metà degli anni Ottanta, l’umanità sta vivendo al di sopra dei propri mezzi rispetto a ll’ambiente e che attualmente la domanda annuale di risorse è superiore di un terzo a quanto la Terra riesce a generare ogni anno. Ad oggi, oltre l’80% della popolazione mondiale vive in Paesi che utilizzano più risorse rispetto a quelle disponibili all’in terno dei loro confini. Tra questi abbiamo gli Usa, la Cina e l’India, quasi tutti gli stati europei, tutti i Paesi della sponda sud del Mediterraneo e del Medio Oriente. Molti Paesi (loro malgrado) “virtuosi” si trovano, invece, nell’Africa subsahariana e in Sudamerica, cui si aggiungono altre grandi nazioni come il Canada, l’Australia e la Russia, che, pur avendo adottato un modello di sviluppo tutt’altro che sostenibile, dispongono di immense risorse energetiche.
Diamo un rapido sguardo alle tendenze che ci possiamo attendere nei prossimi decenni per la popolazione mondiale e i consumi energetici. Le previsioni demografiche variano a seconda delle diverse ipotesi sulla mortalità e soprattutto sulla natalità. Secondo la United Nations Population Division (vedi grafico), nel 2050 la popolazione mondiale dovrebbe attestarsi sui 9,3 miliardi. La crescita si concentrerà nei Paesi in via di sviluppo (Pvs), in particolare nel continente asiatico, mentre la popolazione dei Paesi a sviluppo avanzato dovrebbe mante nersi quasi stazionaria. Probabilmente gli abitanti del pianeta nel 2100 saranno più di 10 miliardi. La crescita demografica nella seconda metà del XXI secolo dovrebbe perciò rallentare notevolmente, soprattutto grazie alla graduale diminuzione delle nasci te nei Pvs.
Per quanto riguarda i consumi energetici, secondo l’ International Energy Agency , nel 2010 si è avuta una crescita del 5% nella domanda globale di energia primaria. In base alle previsioni dell’Agenzia, tra il 2010 e il 2035 la domanda di energi a crescerà di un terzo. Il 90% dell’incremento sarà determinato da Paesi non appartenenti all’OCSE, cioè da Paesi in via di sviluppo la cui economia è attualmente in rapida crescita. In particolare la Cina, che è oggi il primo consumatore mondiale di ene rgia ed è destinata in prospettiva a rafforzare il suo primato.
Se ci si basa sulle tendenze attuali di crescita della popolazione e soprattutto dei consumi, il sovrasfruttamento ambientale sembra destinato inevitabilmente a inasprirsi nei prossimi decenni e la risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio non potrà che essere negativa.
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A5. Osserva il grafico e completa le due affermazioni che seguono, indicando ogni volta l’alternativa corretta tra le tre scritte in corsivo.
Dal 1950 al 2050 circa, la popolazione dei Paesi più sviluppati tende a aumentare / restare stabile / diminuire; nonostante ciò, la popolazione mondiale registra un decremento / lieve incremento/ forte incremento.
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restare stabile, forte incremento
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altro
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UN FUTURO A IDROGENO SENZA CO2
L’idrogeno non può essere considerato una fonte primaria di energia, in quanto non esistono giacimenti di idrogeno, ma è un “vettore energetico”, ovvero è un buon sistema per accumulare e trasportare energia.
L’idrogeno è un vettore ideale per un sistema energetico “sostenibile”, in quanto: * può essere prodotto da una pluralità di fonti, sia fossili che rinnovabili, tra loro intercambiabili e disponibili su larga scala per le generazioni future;
* può essere impiegato per applicazioni diversificate, dal trasporto alla generazione di energia elettrica, con un impatto ambientale nullo o estremamente ridotto sia a livello locale che globale.
Accanto ai vantaggi, l’introduzione dell’ idrogeno presenta ancora numerosi problemi connessi allo sviluppo delle tecnologie necessarie per rendere il suo impiego economico e affidabile. Lo sviluppo di tali tecnologie è oggi al centro dei programmi di ricerca di numerosi paesi.
Uno dei problemi pi ù critici è sicuramente quello della produzione; in prospettiva l’idrogeno si potrà ottenere dall’acqua, a emissioni zero, utilizzando le energie rinnovabili; oggi la soluzione più vicina è rappresentata dai combustibili fossili (estrazione dell’idrogeno a partire da carbone, petrolio e gas naturale) ma il problema da risolvere, in questo caso, è quello della separazione e del confinamento della CO 2 prodotta insieme all’idrogeno.
L’idrogeno può essere utilizzato:
* nei motori a combustione interna. L’idrogeno è un eccellente combustibile e può essere bruciato in un normale motore a combustione interna come accade in alcuni modelli di auto già commercializzati. I
rendimenti sono elevati e le emissioni si riducono a vapore acqueo e pochissimi ossidi di azoto; * nelle celle a combustibile H. Sono sistemi elettrochimici capaci di convertire l’energia chimica di un combustibile direttamente in energia elettrica con un rendimento nettamente superiore a quello degli impianti convenzionali e senza emissioni di CO2. Le ce lle a combustibile sono una soluzione già adottata da molte case automobilistiche per la costruzione di prototipi elettrici alimentati a idrogeno.
Un’automobile a celle di combustibile produce a bordo l’elettricità necessaria al suo funzionamento, senza em issioni nocive;
* nelle centrali termoelettriche a idrogeno. I programmi di ricerca e sviluppo della tecnologia consentiranno di costruire impianti che utilizzeranno l’idrogeno per la generazione centralizzata di energia elettrica.
Questi impianti, abbinati ad un sistema di separazione e di confinamento della CO2, ad esempio in giacimenti esauriti di petrolio o di metano, permetteranno la produzione di elettricità con un alto rendimento e senza rilascio di anidride carbonica.
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C4. L’impiego dell’idrogeno per le auto può avvenire in due modi. Indica quali, completando le frasi seguenti.
1. L'idrogeno può essere usato nei ... direttamente come ...
2. L'idrogeno può essere usato nelle ... per trasformare l'energia ... in energia ...
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1) motori a combustione (interna); combustibile 2) celle a combustibile; chimica; combustibile.
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altro
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L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del se nso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli al tri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, l inguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.
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A2. Completa il testo che segue tenendo in considerazione quanto detto dall’autore. Scegli la parola corretta da inserire, una sola per ogni spazio, tra quelle suggerite in elenco. Fai attenzione: ogni parola può essere utilizzata una sola volta e cinque parole sono in più.
L’autore vuole definire “l’uso delle parole” come capacità di adeguare il proprio .................... sulla base del in cui ciascuno si trova, dell’interlocutore con il quale .................... per diversi scopi e, soprattutto, delle trasformazioni che si verificano nel .................... di una relazione
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Primo spazio: linguaggio Secondo spazio: contesto Terzo spazio: interagisce Quarto spazio: corso Quinto spazio: comunicativa Corretta: quando tutti e cinque gli spazi sono riempiti correttamente.
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2018_10_SIM_A
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altro
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E1. Completa correttamente le parole nelle seguenti frasi.
a) Non ho mai dato ai camerieri delle man ... superiori ai cinque euro.
b) L’inge ... ere si recò al cantiere per il collaudo.
c) Farsi giustizia da soli è ille ... ittimo.
d) Aver rischiato tanto è stata una vera incosc ... nza.
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a) mance b) ingegnere c) illegittimo d) incoscienza
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altro
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AMBRA E MAGNETITE
La Terra era un disco piatto che galleggiava su una distesa d’acqua senza fine. E l’acqua era il principio unico di tutto l’univer so, l’elemento da cui traevano origine la materia e la vita. Nel cielo, più vicini alle cose divine che a quelle umane, giravano il Sole, la Luna, i pianeti, le stelle.
Ma le loro rivoluzioni obbedivano a ritmi ormai, c onosciuti, tanto che i sapienti erano in grado di calcolarne le posizioni e di prevedere le eclissi
Queste erano le conoscenze dell’Universo nel VI secolo a.C., quando il filosofo greco Talete di Mileto, uno dei sapienti che avevano contribuito a elaborarle, cominciò a ragionare sulle misteri ose forze attrattive tipiche di alcune sostanze naturali.
Da tempo immemorabile erano note le proprietà dell’ambra, una resina fossile che affiora in molte località della terra assieme ai resti carbonizzati di antiche foreste.
In molti avevano notato che, se si prende un pezzetto di questa sostanza e lo si strofina su un panno di lana, essa acquista la capacità di attrarre granelli di polvere, pagliuzze e altro materiale leggero.
Un’altra sostanza naturale, la magnetite, un minerale scuro e pesante che si t rova in prossimità dei giacimenti di ferro, sbalordiva per la sua capacità di attirare frammenti di ferro e altri metalli. Si raccontava che le punte ferrate dei bastoni dei pastori della Magnesia, località ricca di affioramenti del prodigioso minerale, re stassero addirittura attaccate al terreno.
Di che natura erano, si chiese Talete, le forze responsabili di questi due fenomeni? Talete, ai suoi tempi, era considerato il più autorevole dei Sette Sapienti della Grecia. Gli storici moderni lo reputano il fon datore della filosofia e della scienza occidentali, il primo che abbia tentato di formulare una teoria unitaria dell’Universo e della materia.
La sua concezione del mondo, tuttavia, abbondava di elementi soprannaturali. La spiegazione che il filosofo diede delle proprietà dell’ambra e della magnetite fu di carattere magico. Talete pensò che ambra e magnetite avessero una specie di anima e che questa esercitasse un potere attrattivo. La strada delle speculazioni scientifiche era, comunque, aperta.
Altri filo sofi greci successivi a Talete, per esempio quelli appartenenti alla scuola degli atomisti, attribuirono le attrazioni all’effetto di un fluido capace di trasferirsi da un oggetto all’altro: una spiegazione ancora approssimativa, ma molto vicino alla realt à.
(Tratto da: F. Foresta Martin, Dall’ambra alla radio , Trieste, Editoriale Scienza, 1995, pp. 9-11)
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D1. Gli ultimi due capoversi richiamano le spiegazioni delle proprietà dell'ambra e della magnetite date da Talete e dagli atomisti. Ache cosa veniva attribuito il loro potere? Scrivi, ricopiandole dal testo, le due parole chiave della spiegazione dell'uno e degli altri.
1. Parola chiave della spiegazione di Talete
2. Parola chiave della spiegazione degli atomisti
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1) anima 2) fluido
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2018_10_DR_D
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altro
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C4. Qual è il soggetto delle frasi che seguono? Scrivilo vicino ad ognuna.
Attenzione: scrivi il soggetto anche quando è sottinteso.
a) L’hai avuto l’invito? …………………………………………..
b) A lei non piace la verdura. …………………………………………..
c) Dove l’avete messa la mia cartella? …………………………………………..
d) Il mio libro l’hai preso tu? …………………………………………..
e) Vi interessa questo spettacolo? …………………………………………..
f) Correvano tutti verso la piazza. …………………………………………..
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a) Tu b) verdura c) Voi d) Tu e) spettacolo f) Tutti
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2017_08_PN_C
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altro
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C6. Scrivi nello spazio vuoto la preposizione mancante.
a) L’intera regione si rifornisce …………… energia elettrica dalla centrale di Cerano.
b) Non si può contare …………… sua discrezione.
c) Luca mi pare propenso …………… partecipare alla gara.
d) La pioggia ci costringe …………… restare a casa.
e) Diversamente …………… quello che pensavo, i pipistrelli sono mammiferi.
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a) di b) sulla c) a d) a e) da
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2017_08_PN_C
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altro
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L'USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del senso comune. E
noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli altri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, linguaggio, secondo con chi parla e secondo l'argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.
(Tratto da: Gianni Celati, Conversazioni del vento volatore, Macerata, Quodlibet, 2011)
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A2. Completa il testo che segue tenendo in considerazione quanto detto dall’autore.
Scegli la parola corretta da inserire, una sola per ogni spazio, tra quelle suggerite in elenco.
Fai attenzione:ogni parola può essere utilizzata una sola volta e cinque parole sono in più.
linguaggio / condiviso / interagisce / corso / pensiero / polemizza / senso / contesto / comunicativo / ruolo
L'autore vuole definire "l'uso delle parole" come capacità di adeguare il proprio .................... (1) sulla base del .................... (2) in cui ciascuno si trova, dell'interlocutore con il quale .................... (3) per diversi scopi e, soprattutto, delle trasformazioni che si verificano nel .................... (4) di una relazione .................... (5)
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1. linguaggio 2. contesto 3. interagisce 4. corso 5. comunicativa
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2017_10_SNV_A
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altro
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E1. Completa correttamente le parole nelle seguenti frasi.
a) Non ho mai dato ai camerieri delle man………… superiori ai cinque euro.
b) L’inge…………ere si recò al cantiere per il collaudo.
c) Farsi giustizia da soli è ille.........ittimo.
d) Aver rischiato tanto è stata una vera incosc………nza.
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a) mance b) ingegnere c) illegittimo d) incoscienza
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2017_10_SNV_E
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altro
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E3. Nei periodi che seguono il se introduce o una frase ipotetica o una frase interrogativa indiretta. Indica la funzione sintattica del se in ciascun periodo.
Metti una crocetta per ogni riga.
Se introduce una frase ipotetica
Se introduce una frase interrogativa indiretta
a) Non mi hanno ancora detto se vengono a cena
b) Se mi chiedessero la strada per il Duomo non saprei rispondere
c) Vogliono partire oggi, ma se non si sbrigano…
d) Volevo sapere se avesse fame o sete, ma non capivo la sua lingua
e) Possiamo parlare con calma se vieni a casa mia verso le otto
f) Gli chiese se per caso avesse sentito suonare il campanello
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a) Interrogativa indiretta b) Ipotetica c) Ipotetica d) Interrogativa indiretta e) Ipotetica f) Interrogativa indiretta
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2017_10_SNV_E
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C8. Nella seguente serie di parole scegli l’unica parola che non è derivata da “casa”.
casolare / caseggiato / casaccio / casereccio / casetta
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casaccio
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2016_05_SNV_C
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altro
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Demografia. Dove ci porterà l’aumento della popolazione
Secondo l’UNFPA, l’agenzia internazionale dell’ONU per lo sviluppo, il 31 ottobre 2011 è nato l’abitante numero sette miliardi del nostro pianeta. Si tratta di una data simbolica. Non è possibile, infatti, misurare con precisione l’evolvere della popolazione mondiale momento per momento, non disponendo di statistiche affidabili su tutti i Paesi, in particolare quelli in via di sviluppo. Ad ogni modo, l’evento ha stimolato il dibattito sul futuro della popolazione mondiale e sollecitato quesiti come il seguente: nei prossimi decenni il nostro pianeta sarà capace di sfamare, vestire e riscaldare una popolazione ancora più numerosa che mira ad avere standard di vita sempre più elevati?
Prima di azzardare una risposta, ripercorriamo brevemente l’evoluzione della popolazione mondiale. Nei primi millenni di storia dell’umanità la crescita demografica è stata molto lenta: il miliardesimo abitante nacque intorno al 1800 ma bastò solo un altro secolo per toccare quota due miliardi. Nel XX secolo, la crescita demografica è stata inizialmente ancora più rapida e all’inizio degli anni Sessanta la popolazione mondiale ha toccato il suo terzo miliardo. In seguito, ogni 12-13 anni si è avuto un aumento di un ulteriore miliardo, fino ai sette miliardi odierni.
Con l’aumentare della popolazione mondiale è ovviamente cresciuto anche il consumo di energia, ma con modalità ben differenti da un Paese all’altro, legate soprattutto al tenore di vita dei singoli contesti. Attraverso un indicatore come l’impronta ecologica, introdotto da Mathis Wackernagel, ambientalista fondatore dello Human Footprint Institute, è possibile valutare con approssimazione la sostenibilità del consumo di risorse naturali complessivo e da parte di ogni singolo Paese. In sintesi, l’impronta ecologica misura di quanta superficie, in termini di terra e acqua, una popolazione ha bisogno per produrre, con la tecnologia disponibile, le risorse che consuma e per smaltire i rifiuti prodotti.
Basandosi su questo indicatore, l’Ecological Footprint Atlas 2010 sostiene che, a partire dalla metà degli anni Ottanta, l’umanità sta vivendo al di sopra dei propri mezzi rispetto all’ambiente e che attualmente la domanda annuale di risorse è superiore di un terzo a quanto la Terra riesce a generare ogni anno. Ad oggi, oltre l’80% della popolazione mondialevive in Paesi che utilizzano più risorse rispetto a quelle disponibili all’interno dei loro confini.
Tra questi abbiamo gli Usa, la Cina e l’India, quasi tutti gli stati europei, tutti i Paesi della sponda sud del Mediterraneo e del Medio Oriente. Molti Paesi (loro malgrado) “virtuosi” si trovano, invece, nell’Africa subsahariana e in Sudamerica, cui si aggiungono altre grandi nazioni come il Canada, l’Australia e la Russia, che, pur avendo adottato un modello di sviluppo tutt’altro che sostenibile, dispongono di immense risorse energetiche.
Diamo un rapido sguardo alle tendenze che ci possiamo attendere nei prossimi decenni per la popolazione mondiale e i consumi energetici. Le previsioni demografiche variano a seconda delle diverse ipotesi sulla mortalità e soprattutto sulla natalità. Secondo la United Nations Population Division (vedi grafico), nel 2050 la popolazione mondiale dovrebbe attestarsi sui 9,3 miliardi. La crescita si concentrerà nei Paesi in via di sviluppo (Pvs), in particolare nel continente asiatico, mentre la popolazione dei Paesi a sviluppo avanzato dovrebbe mantenersi quasi stazionaria. Probabilmente gli abitanti del pianeta nel 2100 saranno più di 10 miliardi. La crescita demografica nella seconda metà del XXI secolo dovrebbe perciò rallentare notevolmente, soprattutto grazie alla graduale diminuzione delle nascite nei Pvs.
Per quanto riguarda i consumi energetici, secondo l’International Energy Agency, nel 2010 si è avuta una crescita del 5% nella domanda globale di energia primaria. In base alle previsioni dell’Agenzia, tra il 2010 e il 2035 la domanda di energia crescerà di un terzo. Il 90% dell’incremento sarà determinato da Paesi non appartenenti all’OCSE, cioè da Paesi in via di sviluppo la cui economia è attualmente in rapida crescita. In particolare la Cina, che è oggi il primo consumatore mondiale di energia ed è destinata in prospettiva a rafforzare il suo primato.
Se ci si basa sulle tendenze attuali di crescita della popolazione e soprattutto dei consumi, il sovrasfruttamento ambientale sembra destinato inevitabilmente a inasprirsi nei prossimi decenni e la risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio non potrà che essere negativa.
(Tratto e adattato da: Massimiliano Crisci, Demografia. Dove ci porterà l’aumento della popolazione, http://is.pearson.it/magazine/demografia-dove-ci-portera-laumento-della-popolazione/, ultimo accesso 15 gennaio 2014)
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B8. Osserva questa immagine e poi completa il testo che segue utilizzando le parole elencate sotto (fai attenzione: due sono in piu`).
La parola “impronta”, nell’espressione “impronta ecologica”, è usata in senso
……………………………(1) ; l’immagine invece corrisponde al suo significato …………………………(2).
L’impronta è infatti quella che il piede dell’uomo incide sul territorio e allude
all’……………………………(3) da questi esercitato sull’……………………………(4). La sproporzione tra
la ……………………………(5) del piede e l’area calpestata rappresenta lo ……………………………(6) tra
……………………………(7) e ……………………………(8).
ambiente / esemplare / dimensione / impatto / letterale / metaforico / popolazione /
sfruttamento / risorse / squilibrio
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1. metaforico 2. letterale 3. impatto 4. ambiente 5. dimensione 6. squilibrio 7. popolazione 8. risorse
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2016_08_PN_B
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altro
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null |
C1. Indica la sequenza corretta che ricompone l’ordine originario del testo numerando da 1 (la prima) a 6 (l’ultima) le frasi.
A. Di solito non ci accorgiamo di questa verità perché siamo molto abituati a chiamare ogni cosa con un certo nome
B. Sono gli uomini che hanno dato e continuano a dare i nomi ad esse
C. Le cose di per sé non hanno nessun nome
D. Eppure, lo stesso cane in spagnolo si chiama perro, in francese chien, in inglese dog, in tedesco hund... ; quale sarebbe allora il "vero" nome del cane?
E. Evidentemente nessuno; oppure dobbiamo dire che i "veri" nome del cane sono tutti quelli usati nelle varie lingue
F. È tanto forte, infatti, l'abitudine di chiamare il cane col nome di cane, che quell'animale ci sembra che debba chiamarsi così
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a) 3 b) 2 c) 1 d) 5 e) 6 f) 4
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2016_10_SNV_C
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altro
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La democrazia
La democrazia non può essere un sistema di governo perfetto, perché come tutte le cose create e praticate dagli esseri umani è condizionata dalla loro imperfezione.
La democrazia, per giunta, è ostacolata dagli egoismi, dalla sfiducia nella capacità delle persone, dalla pigrizia, dalla paura e da chissà quanti altri fattori. La democrazia è complicata e complessa, perché spartendo e diffondendo il potere esige dialogo, confronto e mediazioni continue. Necessita di informazione e cultura. Ha bisogno di attenzione assidua, non consente distrazioni, va costruita e mantenuta ogni giorno. La democrazia non può prescindere dalla partecipazione. La democrazia è faticosa, impegnativa, difficile.
Nonostante i difetti degli uomini, nonostante gli intralci che frenano la sua realizzazione, la democrazia è però il sistema che più di tutti gli altri consente indifferentemente a ciascuna persona di avere libertà analoga a quella dei suoi simili. È la modalità di convivenza che come nessun'altra permette (o che meno di qualsiasi altra impedisce) a chiunque di percorrere il cammino verso la realizzazione personale, verso la ricerca della propria felicità [...].
La pratica della democrazia è difficile e faticosa perché ancora non si è diffuso a sufficienza l'apprezzamento per la parità delle opportunità e per la diffusione della libertà.
Per troppi democrazia significa conquista dell'uguaglianza con chi ha maggiori possibilità, ma mantenimento della disuguaglianza con coloro che di possibilità ne hanno meno. È
necessario che si modifichi questo atteggiamento mentale. E, come sempre è successo, via via che le persone prenderanno consapevolezza di quanto essenziale sia il rispetto della dignità e dell'uguaglianza (che vuol dire il rispetto degli altri), sarà per loro meno difficile impegnarsi e partecipare per attuare e conservare quotidianamente la democrazia.
{Tratto e adattato da: Gherardo Colombo, Democrazia, Torino, Bollati Boringhieri, 2011)
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D1. Questo testo e` diviso in quattro capoversi. Attribuisci a ciascuno di essi il titolo piu` adatto scegliendolo fra quelli proposti.
Capoversi
1. Righe 1-2
2. Righe 3-8
3. Righe 9-13
4. Righe 14-21
Elenco dei titoli
A. Gli atteggiamenti utili alla costruzione della democrazia
B. La democrazia e i conflitti di potere
C. Vantaggi della democrazia per le persone
D. Le fatiche della democrazia
E. Svantaggi del sistema della democrazia
F. La democrazia e i limiti degli uomini
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1. f. 2. d. 3. c. 4. a.
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2016_10_SNV_D
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altro
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La democrazia
La democrazia non può essere un sistema di governo perfetto, perché come tutte le cose create e praticate dagli esseri umani è condizionata dalla loro imperfezione.
La democrazia, per giunta, è ostacolata dagli egoismi, dalla sfiducia nella capacità delle persone, dalla pigrizia, dalla paura e da chissà quanti altri fattori. La democrazia è complicata e complessa, perché spartendo e diffondendo il potere esige dialogo, confronto e mediazioni continue. Necessita di informazione e cultura. Ha bisogno di attenzione assidua, non consente distrazioni, va costruita e mantenuta ogni giorno. La democrazia non può prescindere dalla partecipazione. La democrazia è faticosa, impegnativa, difficile.
Nonostante i difetti degli uomini, nonostante gli intralci che frenano la sua realizzazione, la democrazia è però il sistema che più di tutti gli altri consente indifferentemente a ciascuna persona di avere libertà analoga a quella dei suoi simili. È la modalità di convivenza che come nessun'altra permette (o che meno di qualsiasi altra impedisce) a chiunque di percorrere il cammino verso la realizzazione personale, verso la ricerca della propria felicità [...].
La pratica della democrazia è difficile e faticosa perché ancora non si è diffuso a sufficienza l'apprezzamento per la parità delle opportunità e per la diffusione della libertà.
Per troppi democrazia significa conquista dell'uguaglianza con chi ha maggiori possibilità, ma mantenimento della disuguaglianza con coloro che di possibilità ne hanno meno. È
necessario che si modifichi questo atteggiamento mentale. E, come sempre è successo, via via che le persone prenderanno consapevolezza di quanto essenziale sia il rispetto della dignità e dell'uguaglianza (che vuol dire il rispetto degli altri), sarà per loro meno difficile impegnarsi e partecipare per attuare e conservare quotidianamente la democrazia.
{Tratto e adattato da: Gherardo Colombo, Democrazia, Torino, Bollati Boringhieri, 2011)
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D3. Alla riga 9 l’autore usa la parola “intralci” con cui riassume quattro fattori presentati precedentemente nel testo come ostacoli alla democrazia. Trascrivi le quattro parole che identificano questi fattori.
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1.egoismi 2. sfiducia 3. pigrizia 4. paura
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['item_712_0.png']
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2016_10_SNV_D
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altro
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Scheda web di presentazione di un libro
Il cavaliere inesistente
di Italo Calvino
pubblicato da Mondadori
Prezzo: € 9,50
Edizioni e formati disponibili:
Ebook € 6,99
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Libro € 10,08
Descrizione del prodotto
Agilulfo, paladino di Carlomagno, è un cavaliere valoroso e nobile d’animo. Ha un unico difetto: non esiste. O meglio, il suo esistere è limitato all'armatura che indossa: lucida, bianca e... vuota. Non può mangiare, né dormire perché, se si deconcentra anche solo per un attimo, cessa di essere. Una storia ambientata nell’inverosimile medioevo dei romanzi cavallereschi, ma vicina più che mai alla realtà del nostro tempo.
Dettagli
Genere: Narrativa
Editore: Mondadori
Collana: Oscar junior
Formato: Tascabile
Pubblicato: 12/04/2010
Pagine: 182
Lingua: Italiano
ISBN-13 9788804598886
Illustratore: F. Maggioni
Recensione di una lettrice
atena72 - 31/05/2013 04:13
La lucida armatura di Agilulfo è bianca come l’onore del nobile cavaliere che, per conservarlo, dovrà superare ostacoli e prove, come nella migliore tradizione. Ed il suo valore e la sua maestria saranno tanto notevoli e profonde, quanto evanescente ed eterea è la sua natura, la cui fisicità è indissolubilmente legata alla vuota armatura che si porta dietro. Pur non esistendo concretamente, Agilulfo suscita il più grande degli amori e il più grande degli odii. AI punto che, sembra molto più concreto lui, dei suoi superficiali e vanitosi commilitoni. E fino alla fine lotterà, per affermare la superiorità della nobiltà del suo animo e della sua esistenza.
{Tratto e adattato da: http://www.inmondadori.it/Il-cavaliere-inesistente-Italo-Calvino/eai978880459888/; giugno 2014)
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E6. Nella recensione un breve periodo ha una punteggiatura impropria. Individua e trascrivi tale periodo con la punteggiatura appropriata.
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Al punto che sembra molto piu` concreto lui dei suoi superficiali e vanitosi commilitoni
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Nella casa vicino al mare
Dopo la partenza di mio padre, noi tre e la mamma eravamo andati a stare dai nonni paterni, in una grande casa dove abitava un mucchio di gente, alcuni dell’età dei miei genitori e poi una piccola folla di cugini e cugine. Era una modesta casa di periferia che aveva però l’innegabile pregio di essere poco distante dal mare; per questo potevo vedere l’andirivieni delle navi e la luce del faro mi faceva compagnia dall’imbrunire all’alba. Il viaggio in bicicletta fino alla punta del promontorio durava all’incirca un quarto d’ora e mi offriva la vista di quel miscuglio di meraviglie e miserie che sono le città portuali di tutto il mondo, ma ancora di più quelle della costa mediterranea dell’Africa. Palazzi candidi, testimoni di un’ostentata eleganza coloniale, ora condomini per benestanti o sedi di uffici, si alternavano a edifici moderni del centro. Sui marciapiedi la gente andava e veniva per i fatti suoi, donne velate camminavano fianco a fianco con donne vestite all’europea, impiegati in giacca e cravatta sfioravano vecchi venditori di frutta con il carretto tirato dall’asino, vicini nello spazio ma separati da una crepa del tempo. Dalla parte opposta a quella da cui arrivavo io c’era la distesa delle raffinerie, delle fabbriche, gli impianti per il gas, il porto, ma non mi avventuravo mai fin là con la mia piccola bicicletta, non avrei saputo che farci e poi m’incuteva anche un po’ di paura. Dopo la visita al faro, riprendevo la via di casa: man mano che mi avvicinavo al nostro sobborgo, le costruzioni apparivano più povere e le rare automobili erano sgangherate. Non si vedevano più tanti giardini e fontane, e nemmeno le sedie dei caffè. Le porte dei modesti edifici calcinati dal sole ricordavano le valve di un mollusco, socchiuse a proteggere l’ombra di piccole botteghe. L’immobilità polverosa sussurrava di un deserto invisibile eppure presente, con il suo respiro di drago.
Nel pomeriggio, quando studiavo, in casa c’erano soprattutto donne, e fra queste mia madre. Mio fratello grande aveva trovato un lavoro provvisorio e mia sorella, che era più piccola di me e aveva meno compiti, era a giocare con la folla di cugini e cugine. Io amavo starmene in disparte, magari a leggere, e spesso rifiutavo gli inviti dei coetanei. Quando poi, stanco di star solo, avrei voluto andare con gli altri ragazzini, loro non mi volevano più, offesi dalle mie arie da intellettuale. Se cercavo di partecipare ai loro giochi, non sempre ero accettato e, quando finalmente mi accoglievano, per un po’ dovevo subire scherzi e prese in giro. Ho capito in ritardo che quel che li infastidiva non era tanto il fatto che io volessi diventare un uomo istruito, quanto piuttosto che mi dessi delle arie per questo. Allora ci soffrivo parecchio, ma in fondo mi ha fatto anche bene.
L’estate sanciva una tregua ai nostri bisticci, arrivava la vacanza, avevamo da giocare a pallone, da fare i bagni e da pescare con ridicoli retini e lenze di spago. Dalle finestre di casa il mare si vedeva e impiegavamo pochi minuti per arrivarci. La strada attraversava cespugli ruvidi e canneti, ma quando mettevamo i piedi a bagno, l’acqua tra gli scogli ci sorprendeva con i suoi turchesi e i suoi blu, identici a quelli della moschea di Sidi Ali Eddib. Ma con la fine dell’estate la distanza riappariva, e si fece più forte nel momento in cui io solo di tutta la tribù mi iscrissi alle scuole secondarie a indirizzo classico.
Mi ritrovai sbalzato in un’altra realtà, quasi un altro mondo, in mezzo a ragazzi provenienti da famiglie facoltose che mi guardavano come un appestato.
Ai tempi dell’infanzia di mio padre, la classe dirigente era soltanto francese. In cinquant’anni le cose sono cambiate, oggi esistono gli algerini ricchi, con i loro figli viziati e capricciosi, come quelli di tutto il resto del mondo.
Una volta, nei bagni, esasperato dalle offese per le mie origini modeste, me la presi con il figlio di un ingegnere e gli citai La peste di Albert Camus, nemmeno mi ricordo quanto a proposito, ma mi era piaciuto farlo. Rimasi colpito scoprendo che un ragazzo ricco, un ragazzo che aveva tanto tempo libero e tanti soldi per comprarsi tutti i libri del mondo, non avesse voglia di leggere e d’imparare, che addirittura non avesse mai sentito parlare di quello scrittore. Dopo la sorpresa, provai una specie di felicità che scacciò l’arrabbiatura e ora ricordo quella storia soltanto per la gioia che provai. Avevo capito che è il buon uso dell’intelletto e non il denaro a far la differenza tra gli uomini.
Una cosa mi manca di allora: studiavo con la finestra aperta, qualche volta una brezza faceva sollevare e scorrere le pagine del libro che avevo davanti e quella brezza aveva l’odore del mare. Quando sono libero dal lavoro, vado a camminare sulla spiaggia e respiro profondamente, cercando di ritrovare quell’odore, ma mi sembra che questo Mediterraneo profumi in un altro modo, e alla gola mi sale un nodo spinoso, difficile da sciogliere.
(Tratto da: Cristina Rava, Un mare di silenzio, Garzanti, Milano 2012)
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A2. I fatti si svolgono nel periodo post coloniale, come si puo` capire da due frasi del testo. Riportane una.
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1. Palazzi candidi, testimoni di un’ostentata eleganza coloniale, (ora condomini per benestanti o sedi di uffici, si alternavano a edifici moderni del centro.) 2. Ai tempi dell’infanzia di mio padre, la classe dirigente era soltanto francese. (In cinquant’anni le cose sono cambiate, oggi esistono gli algerini ricchi, con i loro figli viziati e capricciosi, come quelli di tutto il resto del mondo.) Sono accettabili: - parafrasi di una delle due possibili risposte corrette - parti di una delle due possibili risposte corrette purche´ siano sufficienti a indicare che si tratta del periodo post-coloniale Corretta: quando viene riportata almeno una delle due frasi
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… e ci incamminammo per andare in montagna
Questo testo costituisce l’attacco del capitolo 4 de “I piccoli maestri”, un libro di Luigi Meneghello, scrittore vicentino recentemente scomparso. Nel libro lo scrittore ha voluto esprimere un proprio modo di vedere la Resistenza (cioè la lotta partigiana per la liberazione dell’Italia dai nazifascisti degli anni 1943-45), a cui anche lui, molto giovane, aveva partecipato.
Nel Bellunese c’è un budello di valle che si chiama Canal del Mis. I luoghi che vi danno accesso li ho conosciuti solo di notte, Sospiròlo, Sèdico, Mas, Santa Giustina: terre notturne.
La struttura della zona mi sfuggiva, ammesso che ci sia: c’erano borghi, campi, argini, greti, strade buie, case mute; o non c’era nessuno in quei paesi, o dormivano tutti, uomini e bestie.
Ci aggirammo nella zona per un paio di notti, seguendo una guida locale. Ogni tanto mi trovavo davanti il greto del Piave e pensavo: cosa fa qui il Piave? cosa c’entra? Forse il frutto di tutto questo girare furono i quattro catenacci che debbo pur chiamare le nostre prime armi: forse andavamo a raccoglierle nei campi, non mi ricordo più.
Nel mezzo della seconda notte la guida si voltò fermamente verso i monti, per imboccare il Canal del Mis.
Quando ci fummo sotto, tutt’a un tratto sentii la struttura; camminavamo tra alte serrande e contrafforti a incastro, e si percepiva l’impianto del solco lungo e nudo che è il Canale. Camminiamo un pezzo sulla strada in fondovalle; prendiamo un sentiero a destra che si aggrappa al monte, e in pochi minuti siamo alti alti nell’aria nera. Andiamo su per qualche ora al buio; ci fermiamo in una piccola radura sul dosso dei monti.
La esplorammo a tastoni, c’era una malga, sprangata. Questo posto si chiama Landrina; nevica. Ora chi ci ha accompagnati ritorna giù: restiamo soli, io Nello e Bene. Ci si mette a dormire nel porcile di fianco alla malga. Siamo arrivati, siamo i partigiani.
Bene, rannicchiato sulla paglia tra me e Nello, sbuffava e brontolava. Il porcile era per certi versi un luogo chiuso, per altri un luogo aperto; era addossato a un muricciolo a secco, ed era fatto di assi incoerenti. Per gli spacchi entravano spifferi di vento, ed era principalmente con questi che Bene ce l’aveva, perché era sensibilissimo alle correnti d’aria: diceva che queste cose poi si pagano, dopo i trent’anni, o i quaranta. Notai con una certa sorpresa che gli interessavano quelle età: astrazioni barocche.
“Sta’ fermo,” gli dicevo, perché continuava a girarsi, e ora scopriva Nello, ora me.
Avevamo una coperta sola.
Per gli spacchi entrava anche qualche favilla di neve, ogni tanto ne sentivo una che mi si veniva a posare sul viso, e in un attimo si scioglieva. Si sentiva che eravamo assurdamente soli, per chilometri e chilometri e chilometri.
“Che bella notte,” diceva Bene.
“Dormi,” dicevo io. Nello non diceva nulla. Tutto ciò che si ricorda di lui, in quei mesi, pare che porti un piccolo sigillo. Sentivo i teneri cristalli intralciarsi con le palpebre, fare una minuscola lotta.
Alla mattina, il luogo era attraente, scarno ma non selvaggio: stavamo su una specie di terrazza orientata a sud. Mi misi subito a guardare gli esiti dei sentieri calcolando con gli occhi come si potrebbe organizzare un fuoco di sbarramento. L’idea per il momento era puramente teorica: l’unico vero fuoco che avremmo potuto fare era quello di legna, ammesso che riuscissimo ad accenderlo. Provai a parlarne a Bene, ma lui mi disse: “Non sei stato al corso, tu? pensaci tu.”
Al corso ci avevano insegnato principalmente a prendere le trincee. Se i tedeschi fossero stati un popolo sportivo, si sarebbe potuto mandargli a dire, quando venivano su per il sentiero: Fate una trincea, e noi veniamo a prenderla…
Il sole era alto; sentimmo voci alle nostre spalle, la spianata era già invasa, gente arrivata da tutt’altra parte. Per fortuna erano compagni, le prime reclute del nostro reparto.
Quel giorno e il successivo ne arrivarono parecchi altri: a un certo punto vidi da lontano venir su pel sentiero uno che camminava con passo legnoso e stizzito, dando qualche calcio ai sassi. Era biondo e imbronciato: era Lelio. Lo aspettavamo, ma dava sempre una certa emozione, quando si era su, veder effettivamente arrivare gli amici.
In due o tre giorni il piccolo reparto fu al completo. Oltre a noi quattro da Vicenza, che ci sentivamo il nòcciolo, c’erano quindici o venti popolani della zona, alcuni assai giovani, i più reduci dalle Russie e dalle Balcanie; uno era cuoco, bravissimo; che dovesse venire proprio lassù a fare il cuoco pareva un peccato, gli altri aspetti della situazione gli interessavano mediocremente. Si mangiava una volta al giorno, ma bene e in abbondanza. I
comitati in pianura dovevano essere tutti sudati.
Frammischiati coi bellunesi c’erano anche tre o quattro ragazzi di pianura, uno era addirittura da Venezia, lo chiamavamo Ballotta e aveva le ulcere. Non mi ricordo dove le avesse, ma le aveva: e i suoi tentativi di fare il partigiano, con queste ulcere dentro, erano commoventi. Non sapeva né camminare né portare, né sparare (non che occorresse molto per il momento), né orientarsi. La sua era una lotta contro le ulcere; ma si ostinava a volerla fare lassù. Dopo qualche settimana andammo a riconsegnarlo a certi parenti che aveva nell’Agordino, e lo lasciammo là. A lui venne da piangere, e a me viene in mente che se le medaglie fossero una cosa seria, il nostro primo grande decorato dovrebbe essere lui.
Abbiamo due medaglie d’oro fra i nostri compagni più stretti, uno è Antonio, e l’altro è il Moretto; ma se i decoratori avessero idee chiare sulle medaglie, sarebbe giusto proporre anche Ballotta, veneziano con le ulcere.
(Tratto da: Luigi Meneghello, I piccoli maestri, Milano, Rizzoli, 1976)
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B14. Quando arriva la mattina (riga 35) gli spazi si aprono, la luce ricompare, e con la luce anche la visione.
Nei capoversi da riga 35 a riga 49, individua due frasi o espressioni indicative di questa nuova situazione. Trascrivile:
1. ……………………………………………………………………………………….
2. ……………………………………………………………………………………….
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Indica DUE tra le seguenti espressioni: • Mi misi subito a guardare • Calcolando con gli occhi (come organizzare un fuoco di sbarramento) • Il sole era alto • Il luogo era attraente (scarno ma non selvaggio) • La spianata era gia` invasa • Stavamo su una specie di terrazza orientata a sud • (Vidi) da lontano venir su pel sentiero (uno che camminava...)
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UNA CACCIA SINGOLARE
Sempre conversando di erbe e di roba da mangiare, Konrad e il maestro Giovanni da Bologna arrivarono a una casupola che sorgeva al limite del bosco.
Un muretto a secco delimitava un piccolo orto coltivato a zucchine e cetrioli, e una donna – certo la padrona di casa – stava china a legare i gambi di quelle piante a delle cannucce infisse nel terreno.
Konrad le chiese se avesse visto Melisenda, la seconda figlia di messer Rufo. La donna scosse il capo, ma le brillarono gli occhi e rispose, senza una logica apparente: «Però Guglielmino è nel bosco a raccogliere ghiande per il maiale».
In mancanza di meglio, penetrarono nel bosco seguendo le tracce del misterioso Guglielmo.
Quando Konrad e maestro Giovanni lo avvistarono, però, Guglielmo non stava procurando il cibo al maiale di casa, ma se ne stava naso all'aria sotto un albero alto e fronzuto, tenendo steso un lembo della sudicia camicia.
«Secondo me si rompe, se lo gettate. Però fate come credete meglio, madonna
» diceva con molto rispetto a qualcuno che stava sull'albero, nascosto dalle fronde.
«Melisenda!» sussurrò Konrad.
«Ssstt!» fece maestro Giovanni, tirandolo a sé per nascondersi dietro a un cespuglio.
Subito dopo infatti si sentì la voce di Melisenda: «Non so come fare a scendere, Guglielmo. Ho legato alla cintura il lembo della veste, ma è così piena di uova che se non te ne getto qualcuno, non mi posso muovere».
«Gettate, allora!» sospirò Guglielmo rassegnato.
Splash! Ciaff!
«Peccato! Se erano fresche potevamo mangiarle!» sospirò il bambino, che non era abituato a veder sprecare così il cibo. Ma non disse niente per non disturbare Melisenda che scendeva cautamente lungo i rami. Arrivata alla biforcazione principale del tronco, però, la bambina dovette fermarsi.
«Non ho più appiglio, Guglielmo. Devo per forza saltare. Ma cosa ne sarà delle uova, se non riesco a cadere in piedi?»
«Si romperanno, come quelle che avete gettato» disse con logica stringente il bambino.
«E così tutta la nostra fatica sarà sprecata. Io non salto».
«Non vorrete restare lassù fino a notte? Anzi, se non volete saltare, dovrete restarci tutta la vita...»
«Ma no! Non così a lungo! Solo fino a che le uova si schiudono... Chissà, magari erano nel nido da tanto tempo e la cova è quasi terminata…»
«E cosa mangerete nel frattempo? E se la notte farà freddo? E se tornano i padroni del nido? I falchi sono terribili, quando si arrabbiano...» insisteva Guglielmo preoccupato.
«Non so cosa farò, in quel caso. Deciderò sul momento. Ma adesso non posso saltare».
«E se andassi al castello a chiedere una scala?»
«Bravo! Intanto, chi vuoi che ti dia retta, al castello? E poi, se il barone viene a sapere che ho raccolto le uova nel suo bosco, le vorrà per sé e addio mio bel falcone!»
«Potrei andare in cerca di aiuto a casa vostra».
«Così mi prenderei una bella razione di frustate! No, Guglielmo, non c'è altro da fare. Bisogna aspettare che le uova si schiudano... Speriamo che nella mia veste stiano abbastanza al caldo».
A questo punto Konrad non riuscì a trattenersi e la sua risata echeggiò nel bosco, facendo sussultare il piccolo Guglielmo, che raccolse la sua bisaccia e fuggì svelto come una lepre.
«Melisenda» chiese con molta serietà Giovanni da Bologna uscendo allo scoperto, «cosa fate lassù? Se non ho inteso male, state covando».
«Sì, sto covando, e Konrad non ha niente da ridere... Visto che mio padre non me lo vuole regalare, ho deciso di procurarmi da sola un falcone... Almeno un uovo sarà quello buono, no? Ne ho raccolti più di dieci... E quando il pulcino nascerà, lo alleverò, lo addestrerò e vi farò vedere se non posso essere anch'io un falconiere bravo come re Federico!»
«Questo ce lo dirà il futuro» disse maestro Giovanni, cercando di rimanere serio. «Io credo comunque che possiate continuare la cova a casa. È più comodo. Guardate, se vi calate tenendovi a quel ramo e poggiate il piede sulla mia spalla, riesco a prendervi e a mettervi giù senza danneggiare le uova».
Mantenne la promessa e depose gentilmente Melisenda sull'erba.
«Mostratemi il vostro bottino» le chiese poi.
Melisenda sciolse con precauzione un lembo della veste, e allora fu maestro Giovanni a non poter trattenere una risata. «Uova di falco queste! Ma non eravate la mia allieva più brava in storia naturale? Queste sarebbero uova di falco, secondo voi! Queste sono uova di tordo, povera Melisenda! E volevate restare a covarle sull'albero fino alla fine dei tempi...»
Melisenda guardò offesa i suoi due sghignazzanti salvatori. «Lo sapevo»
mentì. «Ma non sono tutte uova di tordo. Guardate, ce n'è uno diverso, più grande, più scuro, e quello è certo un uovo di falco».
Maestro Giovanni guardò e si fece attento. «Perbacco, è vero! C'è un uovo diverso dagli altri. E lo avete trovato sul serio nello stesso nido?»
«Lo giuro» rispose solennemente la bambina.
«Che strano!» bofonchiò il maestro. «Vale davvero la pena di covarle, queste uova, per chiarire il mistero. Su, presto, a casa, che i padroni stanno per tornare e il mio stomaco dice che è ora di cena!»
(Tratto e adattato da: Bianca Pitzorno, La bambina col falcone, Firenze, Salani Editore, 2003)
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A1. Che rapporto hanno i vari personaggi del racconto con
Melisenda? Collega con una freccia ciascuno dei nomi
della colonna A con l’elemento corrispondente della
colonna B.
Colonna A
a) Giovanni da Bologna
b) Konrad
c) Messer Rufo
d) Guglielmo
Colonna B
a) Padre di Melisenda
b) Bambino che aiuta Melisenda
c) Maestro di Melisenda
d) Dal testo non si può capire
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Giovanni da Bologna, Maestro di Melisenda
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altro
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UNA CACCIA SINGOLARE
Sempre conversando di erbe e di roba da mangiare, Konrad e il maestro Giovanni da Bologna arrivarono a una casupola che sorgeva al limite del bosco.
Un muretto a secco delimitava un piccolo orto coltivato a zucchine e cetrioli, e una donna – certo la padrona di casa – stava china a legare i gambi di quelle piante a delle cannucce infisse nel terreno.
Konrad le chiese se avesse visto Melisenda, la seconda figlia di messer Rufo. La donna scosse il capo, ma le brillarono gli occhi e rispose, senza una logica apparente: «Però Guglielmino è nel bosco a raccogliere ghiande per il maiale».
In mancanza di meglio, penetrarono nel bosco seguendo le tracce del misterioso Guglielmo.
Quando Konrad e maestro Giovanni lo avvistarono, però, Guglielmo non stava procurando il cibo al maiale di casa, ma se ne stava naso all'aria sotto un albero alto e fronzuto, tenendo steso un lembo della sudicia camicia.
«Secondo me si rompe, se lo gettate. Però fate come credete meglio, madonna
» diceva con molto rispetto a qualcuno che stava sull'albero, nascosto dalle fronde.
«Melisenda!» sussurrò Konrad.
«Ssstt!» fece maestro Giovanni, tirandolo a sé per nascondersi dietro a un cespuglio.
Subito dopo infatti si sentì la voce di Melisenda: «Non so come fare a scendere, Guglielmo. Ho legato alla cintura il lembo della veste, ma è così piena di uova che se non te ne getto qualcuno, non mi posso muovere».
«Gettate, allora!» sospirò Guglielmo rassegnato.
Splash! Ciaff!
«Peccato! Se erano fresche potevamo mangiarle!» sospirò il bambino, che non era abituato a veder sprecare così il cibo. Ma non disse niente per non disturbare Melisenda che scendeva cautamente lungo i rami. Arrivata alla biforcazione principale del tronco, però, la bambina dovette fermarsi.
«Non ho più appiglio, Guglielmo. Devo per forza saltare. Ma cosa ne sarà delle uova, se non riesco a cadere in piedi?»
«Si romperanno, come quelle che avete gettato» disse con logica stringente il bambino.
«E così tutta la nostra fatica sarà sprecata. Io non salto».
«Non vorrete restare lassù fino a notte? Anzi, se non volete saltare, dovrete restarci tutta la vita...»
«Ma no! Non così a lungo! Solo fino a che le uova si schiudono... Chissà, magari erano nel nido da tanto tempo e la cova è quasi terminata…»
«E cosa mangerete nel frattempo? E se la notte farà freddo? E se tornano i padroni del nido? I falchi sono terribili, quando si arrabbiano...» insisteva Guglielmo preoccupato.
«Non so cosa farò, in quel caso. Deciderò sul momento. Ma adesso non posso saltare».
«E se andassi al castello a chiedere una scala?»
«Bravo! Intanto, chi vuoi che ti dia retta, al castello? E poi, se il barone viene a sapere che ho raccolto le uova nel suo bosco, le vorrà per sé e addio mio bel falcone!»
«Potrei andare in cerca di aiuto a casa vostra».
«Così mi prenderei una bella razione di frustate! No, Guglielmo, non c'è altro da fare. Bisogna aspettare che le uova si schiudano... Speriamo che nella mia veste stiano abbastanza al caldo».
A questo punto Konrad non riuscì a trattenersi e la sua risata echeggiò nel bosco, facendo sussultare il piccolo Guglielmo, che raccolse la sua bisaccia e fuggì svelto come una lepre.
«Melisenda» chiese con molta serietà Giovanni da Bologna uscendo allo scoperto, «cosa fate lassù? Se non ho inteso male, state covando».
«Sì, sto covando, e Konrad non ha niente da ridere... Visto che mio padre non me lo vuole regalare, ho deciso di procurarmi da sola un falcone... Almeno un uovo sarà quello buono, no? Ne ho raccolti più di dieci... E quando il pulcino nascerà, lo alleverò, lo addestrerò e vi farò vedere se non posso essere anch'io un falconiere bravo come re Federico!»
«Questo ce lo dirà il futuro» disse maestro Giovanni, cercando di rimanere serio. «Io credo comunque che possiate continuare la cova a casa. È più comodo. Guardate, se vi calate tenendovi a quel ramo e poggiate il piede sulla mia spalla, riesco a prendervi e a mettervi giù senza danneggiare le uova».
Mantenne la promessa e depose gentilmente Melisenda sull'erba.
«Mostratemi il vostro bottino» le chiese poi.
Melisenda sciolse con precauzione un lembo della veste, e allora fu maestro Giovanni a non poter trattenere una risata. «Uova di falco queste! Ma non eravate la mia allieva più brava in storia naturale? Queste sarebbero uova di falco, secondo voi! Queste sono uova di tordo, povera Melisenda! E volevate restare a covarle sull'albero fino alla fine dei tempi...»
Melisenda guardò offesa i suoi due sghignazzanti salvatori. «Lo sapevo»
mentì. «Ma non sono tutte uova di tordo. Guardate, ce n'è uno diverso, più grande, più scuro, e quello è certo un uovo di falco».
Maestro Giovanni guardò e si fece attento. «Perbacco, è vero! C'è un uovo diverso dagli altri. E lo avete trovato sul serio nello stesso nido?»
«Lo giuro» rispose solennemente la bambina.
«Che strano!» bofonchiò il maestro. «Vale davvero la pena di covarle, queste uova, per chiarire il mistero. Su, presto, a casa, che i padroni stanno per tornare e il mio stomaco dice che è ora di cena!»
(Tratto e adattato da: Bianca Pitzorno, La bambina col falcone, Firenze, Salani Editore, 2003)
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A12. In queste frasi, che riassumono una parte del testo (righe
49-65), mancano alcune parole.
Scrivile, mettendo una sola parola in ogni spazio, dove ci sono i puntini.
Konrad scoppia a ridere quando capisce che Malisenda ha l'intenzione di .................... le uova. Giovanni da Bologna, invece, si sforza di rimanere .................... fino a quando scopre che le uova non sono di .................... ma di .................... Allora scoppia a ridere anche lui.
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covare, serio, falcone (Accettabile anche: falco), tordo
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2013_05_SNV_A
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altro
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Chi va d’accordo con chi?
Avete avuto la splendida idea di aumentare il numero degli abitanti di casa? Pensate che il vostro quattrozampe abbia bisogno di compagnia? Ebbene, pausa di riflessione. Prima di far entrare in casa un nuovo animale, leggete.
Alcuni animali stanno meglio per i fatti loro, e se imporrete loro un intruso, nel migliore dei casi arriveranno a sopportarlo pacificamente. Vi sono poi animali che sotto lo stesso tetto non possono proprio stare perché hanno l’uno l’istinto della preda, l’altro del predatore: finirebbe sicuramente male! Altre volte, invece, dall’incontro tra due animali, della stessa specie o di specie diverse, può nascere una bella amicizia. Che tipo di rapporto si instaurerà dipende dal carattere dell’individuo, dall’indole della specie e da come gestiremo i primi incontri. È necessario scegliere con criterio e, in certi casi, avere molta pazienza.
Cane + cane
Solitamente, il bene più prezioso per il cane è il suo padrone, anche se alcuni sono molto interessati al cibo o alla cuccia. Quindi, affinché due cani stringano amicizia, vanno fissate regole che scongiurino le rivalità. Innanzitutto, quando si “parla” o si svolge qualche attività o si fa qualche gioco con un cane, non bisogna farsi distrarre dall’altro, ma ignorarlo finché non abbiamo finito.
Almeno all’inizio, abbiate un occhio di riguardo verso il cane “padrone di casa”, che non deve associare l’arrivo del rivale con la perdita dei privilegi. Per capire se il nostro cane potrebbe gradire un amico, valutiamo come si comporta con i suoi simili: se ai giardini è socievole e non litiga, buon segno. I primi incontri dei potenziali coinquilini devono avvenire in territorio neutrale, all’aperto, dove possono giocare e annusarsi; solo dopo possono entrare in casa insieme.
Roditori + cani, gatti, conigli
Criceti, cavie, topolini sono prede a tutti gli effetti. Sebbene esistano casi di convivenza riuscita, tenere questi animali in casa con dei gatti potrebbe essere complicato, nonché molto stressante per il roditore, che passerebbe la vita in una gabbia sotto lo sguardo famelico di un felino. Diversamente, se il cane non ha uno spiccato istinto predatorio, è probabile che ignori del tutto il piccolo mammifero.
Conigli e cavie vanno molto d’accordo: l’unica accortezza da adottare è farli conoscere in un ambiente neutrale, perché il coniglio è molto territoriale e potrebbe uccidere la cavia, se la percepisse come un invasore.
Gatto + coniglio
Il coniglio è un animale sociale che vive bene in gruppo e fa amicizia facilmente. Sebbene sia una preda, il gatto non lo percepisce come tale perché hanno taglia simile e ci convive bene. È necessario però favorire un avvicinamento corretto, attraverso una separazione degli spazi. Inizialmente il coniglio va lasciato libero in una stanza, con una rete che lo divide dal resto della casa e permette ai due di vedersi, studiarsi e annusarsi, sentendosi al contempo protetti nel loro territorio. Quando ci sembrano a proprio agio, si può togliere la rete, stando attenti a far incontrare gli animali fuori dalla stanza del coniglio, che è territoriale e può diventare aggressivo.
(Tratto e adattato da: Dunia Rahwan, Relazioni pericolose? in Focus Wild, n. 4, novembre 2011)
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B6. Leggi con attenzione questa parte di testo
“Il coniglio è un animale sociale che vive bene in gruppo
e fa amicizia facilmente. Sebbene sia una preda, il gatto
non lo percepisce come tale perché hanno taglia simile e
ci convive bene.”
Sostituisci le parole in neretto con quelle che
chiariscono di chi o di che cosa si sta parlando.
Il coniglio è un animale sociale che vive bene in gruppo e fa amicizia facilmente. Sebbene sia una preda, il gatto non percepisce .................... come .................... perché hanno taglia simile e ci convive bene.
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il coniglio, preda
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2013_05_SNV_B
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altro
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IL POPOLO DEI GHIACCI
Un immenso deserto di ghiaccio dove, d’inverno, il sole non si vede mai e anche gli animali, dalla volpe all’orso polare, sono bianchi come ciò che li circonda. È questo l’ambiente in cui vivono, nelle terre sconfinate intorno al Polo Nord, gli Inuit. Nella loro lingua significa “la gente” ed è di sicuro questo il modo in cui preferiscono essere chiamati, anche se molti li conoscono come Eschimesi (nella lingua degli Indiani d’America significa “mangiatori di carne cruda”).
Anche se la maggior parte di loro oggi vive in villaggi e fa la spesa nei negozi, gli Inuit vanno ancora a caccia: una tradizione che li tiene uniti e li fa sentire orgogliosi di riuscire a sopravvivere alla natura. Quando vanno in cerca di foche e trichechi in primavera, di caribù in autunno e di orsi d’inverno, devono affrontare molti pericoli, a iniziare dal freddo. Non a caso, i ragazzi che dimostrano di saper cacciare sono considerati uomini e possono già sposarsi.
Ancora oggi, gli Inuit indossano stivali di pelle di foca a più strati e parka (giacconi) di pelliccia di caribù, folta e impermeabile, su cui viene cucita una grande tasca coperta da un cappuccio che serve alle mamme per trasportare i bambini più piccoli. Il parka delle ragazze, invece, non ha questa tasca, o se ce l’ha è usata per trasportare bambole, oggetti o cuccioli di alaskan malamute (conoscete gli husky? I malamute sono un po’ più grossi).
I canisono il mezzo di trasporto più importante degli Inuit insieme al kayak, una canoa stretta e leggera, e l’umiak, una barca più grande adatta alla caccia alle balene (è permesso cacciarne solo pochi esemplari all’anno). Molto resistenti, gli alaskan malamute sono usati per trainare grandi slitte fatte di ossa di balena e pelle di caribù. E anche se la maggior parte delle persone preferisce le motoslitte, che vanno più veloci e non hanno bisogno di cibo, molti continuano ad affidarsi ancora… ai quattro zampe.
Tra i ghiacci, il “popolo dei ghiacci” ha imparato a fare anche le case di ghiaccio: gli igloo! Ma in tutto questo ghiaccio, come si passa il tempo? Ai giorni nostri, molte cose sono cambiate. I ragazzi, ad esempio, imparano a guidare le motoslitte per portare in giro a pagamento i turisti. E anche molti dei loro passatempi sono simili ai nostri. Presso molte comunità, però, sopravvivono ancora antiche usanze. Ad esempio la danza del tamburo, in cui si balla e canta al ritmo di un grande tamburo. Oppure le gare di canto gutturale: una cantilena fatta con la gola in cui spesso si imitano i versi di animali selvatici. Con le gare di canto “normale”, invece, fino a pochi anni fa si risolvevano le liti tra le persone: nei testi delle canzoni si mettevano più insulti possibili, per vendicarsi della persona che aveva causato un’offesa!
Nauja (gabbiano), Amaruq (lupo) … tra gli Inuit sono molto diffusi i nomi degli animali. E nella loro tradizione i nomi hanno molta importanza: secondo loro, infatti, i familiari defunti rivivono anche nei nomi dati ai bambini. Se un papà chiama suo figlio “padre mio”, ad esempio, vuol dire che lo spirito del nonno rivivrà in quel bambino. E se quel bambino fa i capricci o piange, non bisogna sgridarlo perché dentro di lui c’è lo spirito del nonno.
(Tratto e adattato da: Silvana Olivo, Focus Junior, n. 33, ottobre 2006)
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B4. Nel testo sono citati due mezzi di trasporto usati dagli Inuit per spostarsi sul ghiaccio. Quali?
1. .……………….……………………………………………………………………………………
2. …..………………………………………………………………………………………………..
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"Slitte (slitte trainate da cani o anche solo cani oppure alaskan malamute) E motoslitte Corretta: quando indica tutte e due i mezzi di trasporto."
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2012_05_SNV_B
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altro
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MOMENTI SBAGLIATI
Finalmente per Rosaria era giunto il momento più importante della sua vita.
Nella tarda mattinata di quella domenica, e precisamente a mezzogiorno, avrebbe fatto conoscere ai suoi genitori Nené, l’amato e innamorato Nené.
Rosaria era figlia unica di due genitori piuttosto all’antica. Il padre, colonnello in pensione, era autoritario e si incolleriva facilmente quando le cose non andavano come voleva lui; la moglie, Luana, sapeva però domarlo quando le piccole incandescenze di Arturo superavano i limiti dell’educazione.
Quella mattina si alzarono presto tutti e tre per ricevere degnamente il futuro marito di Rosaria. La cucina era pulitissima, il salotto in ordine, la tavola già pronta.
Tutto a posto fino all’ultimo momento. Fino a quando Luana uscì dal bagno con gli occhi di fuori, pallida e balbettante: – Non funziona, lo scarico del water s’è rotto un’altra volta!
Il panico prese il posto dell’allegria. Il colonnello volle subito prendere in mano la situazione cercando di ristabilire la calma: – Ci penso io! – disse. E
subito le due donne, in coro: – Nooo! – Lo conoscevano bene, Arturo avrebbe passato la giornata a smontare l’intero bagno. – Lasciamolo rotto, non fa niente! – esclamò Luana. E Rosaria: – Ma se poi gli scappa? Che figura ci facciamo? Chiamiamo subito l’idraulico!
Ma era domenica, le officine erano tutte chiuse. Siccome a mezzogiorno mancavano ancora due ore, le donne decisero di uscire per cercare qualcuno in grado di risolvere velocemente il problema. Lasciarono a casa il colonnello e andarono a caccia di un idraulico.
Intanto Nené, che era arrivato molto prima del previsto, aveva cominciato a girare intorno al palazzo guardando di tanto in tanto l’orologio. Dopo il terzo caffè preso al terzo bar, decise di rompere gli indugi e di salire, malgrado l’oretta d’anticipo.
Quando Arturo sen' il campanello si precipitò ad aprire. Vide il giovane e subito: – Svelto, giovanotto, che è tardi! Ecco, il bagno è quello là! Nené si ritrovò nel bagno quasi spinto alle spalle dal colonnello. – Faccia svelto! – concluse Arturo chiudendo la porta. Nené era stato informato da Rosaria che suo padre, qualche volta, veniva preso dalle mattane. Allora stette al gioco in attesa che Rosaria arrivasse. Pensò che il colonnello voleva che facesse pipì. Nené fece pipì, provò a spingere il bottone, ma non funzionava.
Riaprì la porta e, con esitazione, disse: – Ho fatto, colonnello! – Arturo si infilò nel bagno e spinse il bottone. Ma lo sciacquone continuava a non funzionare.
– Mi stai prendendo in giro, giovanotto? Che hai fatto? – E l’altro, imbarazzato: – Ho fatto… la pipì! – Il colonnello andò su tutte le furie. – Ah, – gridò, – tutto qua? – E Nené: – Non mi veniva di più, colonnello. – Arturo si fece ancora più nervoso: – Ti sei reso conto che lo scarico non funziona? – In effetti! – Allora che aspetti? Mettiti subito al lavoro!
Nené, che non voleva contraddirlo, si fece consegnare gli strumenti e si dette da fare. Ma appena svitò una rondella fu investito da un getto d’acqua pauroso.
– Bravo, vedo che hai trovato l’acqua! Adesso cerca di fermare la falla! – si sen' dire dal colonnello. Nené provò in tutti i modi e, inzuppandosi come un pulcino, riuscì a bloccare l’emorragia. Finalmente spinse il bottone e, non si sa come, lo scarico funzionò.
I due fecero festa. Poi il colonnello: – Svelto, pulisci per terra! – In ginocchio e con uno straccio in mano, il povero Nené riportò a lucido il pavimento del bagno. Poi si vide consegnare nelle mani due biglietti da diecimila lire: – Vai, vai! – gli disse Arturo spingendolo verso l’uscita.
Mezz’ora prima Nené era entrato in quell’appartamento, lindo e colmo d’emozione. Ora si ritrovava per strada frastornato, fradicio e con i capelli appiccicati sulla fronte. Starnutendo se ne tornò piano piano a casa sua.
Qualche minuto più tardi giunsero le due donne in compagnia di un giovane idraulico, il nipote del macellaio di fronte. Il colonnello, ringalluzzito dalla vittoria, fiero di sé, sembrava diventato più alto. Vide quel giovane e subito lo abbracciò come un figlio: – Benvenuto in questa casa! – gli disse con un nodo alla gola. E la figlia: – Hai visto che l’ho trovato? – E il padre: – Non esagerare figliola, anche lui ha trovato te. Non è vero ragazzo mio? – E l’idraulico: – Diciamo che ci siamo incontrati a metà strada! – Bene, – fece il colonnello, – vuoi un caffè o un aperitivo? – A Luana cominciò a scappare la pazienza: – Non perdiamo tempo, l’aperitivo lo prendiamo dopo! – A questo punto il colonnello si impuntò e lanciò un urlo: – Basta! A casa mia si fa come dico io! Cosa vuoi bere, ragazzo? – Il giovane guardò le due donne e alzò le spalle, mentre Rosaria corse a piangere in camera sua. – Faccia lei! – disse l’idraulico.
Luana raggiunse la figlia in camera e la spinse a reagire, a riprendere in mano la situazione. Le due, allora, più agguerrite che mai, tornarono in salotto.
Entrarono proprio nel momento in cui l’ospite chiedeva al colonnello: – Scusi, colonnello, dov’è il bagno? – Arturo si alzò in piedi con un sorriso grande da qua a là e si mise quasi sull’attenti. – Prego, – disse, – da questa parte! Il colonnello mostrò al giovane come funzionava bene lo scarico: – Guardi che meraviglia! – Spinse il bottone e l’acqua venne giù chiara e abbondante.
L’idraulico, incredulo, pensando di trovarsi in una casa di matti, girò la schiena e se ne andò quasi sbattendo la porta. Il colonnello ci rimase male: – Ma come? – si rivolse amareggiato alle due donne. – Abbiamo fatto tanto e lui preferiva lo scarico rotto! Certo che il mondo fuori di qui va proprio alla rovescia! Moglie e figlia erano convinte che ad aggiustare il bagno fosse stato Arturo, e allora, tornata la felicità, si prepararono ad aspettare Nené. Era quasi l’una e il giovane ancora non si faceva vivo. A Rosaria cominciò a battere il cuore, sempre più forte, gli occhi fissi alla porta d’ingresso.
(Tratto e adattato da: V. Cerami, La gente, Torino, Einaudi, 1993)
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A9. Nella frase “riusci` a bloccare l’emorragia” (riga 46) la parola “emorragia” e` usata in senso figurato. Tenendo conto di questa informazione, completa la frase che segue.
In senso letterale “emorragia” si riferisce a una perdita di …………………….., invece nella frase del testo “emorragia” si riferisce a una perdita di ……………………..
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sangue, acqua
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2012_06_SNV_A
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altro
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MOMENTI SBAGLIATI
Finalmente per Rosaria era giunto il momento più importante della sua vita.
Nella tarda mattinata di quella domenica, e precisamente a mezzogiorno, avrebbe fatto conoscere ai suoi genitori Nené, l’amato e innamorato Nené.
Rosaria era figlia unica di due genitori piuttosto all’antica. Il padre, colonnello in pensione, era autoritario e si incolleriva facilmente quando le cose non andavano come voleva lui; la moglie, Luana, sapeva però domarlo quando le piccole incandescenze di Arturo superavano i limiti dell’educazione.
Quella mattina si alzarono presto tutti e tre per ricevere degnamente il futuro marito di Rosaria. La cucina era pulitissima, il salotto in ordine, la tavola già pronta.
Tutto a posto fino all’ultimo momento. Fino a quando Luana uscì dal bagno con gli occhi di fuori, pallida e balbettante: – Non funziona, lo scarico del water s’è rotto un’altra volta!
Il panico prese il posto dell’allegria. Il colonnello volle subito prendere in mano la situazione cercando di ristabilire la calma: – Ci penso io! – disse. E
subito le due donne, in coro: – Nooo! – Lo conoscevano bene, Arturo avrebbe passato la giornata a smontare l’intero bagno. – Lasciamolo rotto, non fa niente! – esclamò Luana. E Rosaria: – Ma se poi gli scappa? Che figura ci facciamo? Chiamiamo subito l’idraulico!
Ma era domenica, le officine erano tutte chiuse. Siccome a mezzogiorno mancavano ancora due ore, le donne decisero di uscire per cercare qualcuno in grado di risolvere velocemente il problema. Lasciarono a casa il colonnello e andarono a caccia di un idraulico.
Intanto Nené, che era arrivato molto prima del previsto, aveva cominciato a girare intorno al palazzo guardando di tanto in tanto l’orologio. Dopo il terzo caffè preso al terzo bar, decise di rompere gli indugi e di salire, malgrado l’oretta d’anticipo.
Quando Arturo sen' il campanello si precipitò ad aprire. Vide il giovane e subito: – Svelto, giovanotto, che è tardi! Ecco, il bagno è quello là! Nené si ritrovò nel bagno quasi spinto alle spalle dal colonnello. – Faccia svelto! – concluse Arturo chiudendo la porta. Nené era stato informato da Rosaria che suo padre, qualche volta, veniva preso dalle mattane. Allora stette al gioco in attesa che Rosaria arrivasse. Pensò che il colonnello voleva che facesse pipì. Nené fece pipì, provò a spingere il bottone, ma non funzionava.
Riaprì la porta e, con esitazione, disse: – Ho fatto, colonnello! – Arturo si infilò nel bagno e spinse il bottone. Ma lo sciacquone continuava a non funzionare.
– Mi stai prendendo in giro, giovanotto? Che hai fatto? – E l’altro, imbarazzato: – Ho fatto… la pipì! – Il colonnello andò su tutte le furie. – Ah, – gridò, – tutto qua? – E Nené: – Non mi veniva di più, colonnello. – Arturo si fece ancora più nervoso: – Ti sei reso conto che lo scarico non funziona? – In effetti! – Allora che aspetti? Mettiti subito al lavoro!
Nené, che non voleva contraddirlo, si fece consegnare gli strumenti e si dette da fare. Ma appena svitò una rondella fu investito da un getto d’acqua pauroso.
– Bravo, vedo che hai trovato l’acqua! Adesso cerca di fermare la falla! – si sen' dire dal colonnello. Nené provò in tutti i modi e, inzuppandosi come un pulcino, riuscì a bloccare l’emorragia. Finalmente spinse il bottone e, non si sa come, lo scarico funzionò.
I due fecero festa. Poi il colonnello: – Svelto, pulisci per terra! – In ginocchio e con uno straccio in mano, il povero Nené riportò a lucido il pavimento del bagno. Poi si vide consegnare nelle mani due biglietti da diecimila lire: – Vai, vai! – gli disse Arturo spingendolo verso l’uscita.
Mezz’ora prima Nené era entrato in quell’appartamento, lindo e colmo d’emozione. Ora si ritrovava per strada frastornato, fradicio e con i capelli appiccicati sulla fronte. Starnutendo se ne tornò piano piano a casa sua.
Qualche minuto più tardi giunsero le due donne in compagnia di un giovane idraulico, il nipote del macellaio di fronte. Il colonnello, ringalluzzito dalla vittoria, fiero di sé, sembrava diventato più alto. Vide quel giovane e subito lo abbracciò come un figlio: – Benvenuto in questa casa! – gli disse con un nodo alla gola. E la figlia: – Hai visto che l’ho trovato? – E il padre: – Non esagerare figliola, anche lui ha trovato te. Non è vero ragazzo mio? – E l’idraulico: – Diciamo che ci siamo incontrati a metà strada! – Bene, – fece il colonnello, – vuoi un caffè o un aperitivo? – A Luana cominciò a scappare la pazienza: – Non perdiamo tempo, l’aperitivo lo prendiamo dopo! – A questo punto il colonnello si impuntò e lanciò un urlo: – Basta! A casa mia si fa come dico io! Cosa vuoi bere, ragazzo? – Il giovane guardò le due donne e alzò le spalle, mentre Rosaria corse a piangere in camera sua. – Faccia lei! – disse l’idraulico.
Luana raggiunse la figlia in camera e la spinse a reagire, a riprendere in mano la situazione. Le due, allora, più agguerrite che mai, tornarono in salotto.
Entrarono proprio nel momento in cui l’ospite chiedeva al colonnello: – Scusi, colonnello, dov’è il bagno? – Arturo si alzò in piedi con un sorriso grande da qua a là e si mise quasi sull’attenti. – Prego, – disse, – da questa parte! Il colonnello mostrò al giovane come funzionava bene lo scarico: – Guardi che meraviglia! – Spinse il bottone e l’acqua venne giù chiara e abbondante.
L’idraulico, incredulo, pensando di trovarsi in una casa di matti, girò la schiena e se ne andò quasi sbattendo la porta. Il colonnello ci rimase male: – Ma come? – si rivolse amareggiato alle due donne. – Abbiamo fatto tanto e lui preferiva lo scarico rotto! Certo che il mondo fuori di qui va proprio alla rovescia! Moglie e figlia erano convinte che ad aggiustare il bagno fosse stato Arturo, e allora, tornata la felicità, si prepararono ad aspettare Nené. Era quasi l’una e il giovane ancora non si faceva vivo. A Rosaria cominciò a battere il cuore, sempre più forte, gli occhi fissi alla porta d’ingresso.
(Tratto e adattato da: V. Cerami, La gente, Torino, Einaudi, 1993)
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A11. Rosaria dice: “– Hai visto che l’ho trovato!” (riga 59). Il padre risponde: “– ... anche lui ha trovato te” (riga 60). Di chi stanno parlando?
a) Rosaria sta parlando ....................................
b) Il padre sta parlando ....................................
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a) idraulico b) fidanzato
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2012_06_SNV_A
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UN FUTURO A IDROGENO SENZA CO2
L’idrogeno non può essere considerato una fonte primaria di energia, in quanto non esistono giacimenti di idrogeno, ma è un “vettore energetico”, ovvero è un buon sistema per accumulare e trasportare energia.
L’idrogeno è un vettore ideale per un sistema energetico “sostenibile”, in quanto: • può essere prodotto da una pluralità di fonti, sia fossili che rinnovabili, tra loro intercambiabili e disponibili su larga scala per le generazioni future; • può essere impiegato per applicazioni diversificate, dal trasporto alla generazione di energia elettrica, con un impatto ambientale nullo o estremamente ridotto sia a livello locale che globale.
Accanto ai vantaggi, l’introduzione dell’idrogeno presenta ancora numerosi problemi connessi allo sviluppo delle tecnologie necessarie per rendere il suo impiego economico e affidabile. Lo sviluppo di tali tecnologie è oggi al centro dei programmi di ricerca di numerosi paesi.
Uno dei problemi più critici è sicuramente quello della produzione; in prospettiva l’idrogeno si potrà ottenere dall’acqua, a emissioni zero, utilizzando le energie rinnovabili; oggi la soluzione più vicina è rappresentata dai combustibili fossili (estrazione dell’idrogeno a partire da carbone, petrolio e gas naturale) ma il problema da risolvere, in questo caso, è quello della separazione e del confinamento della CO2 prodotta insieme all’idrogeno.
L’idrogeno può essere utilizzato:
• nei motori a combustione interna. L’idrogeno è un eccellente combustibile e può essere bruciato in un normale motore a combustione interna come accade in alcuni modelli di auto già commercializzati. I rendimenti sono elevati e le emissioni si riducono a vapore acqueo e pochissimi ossidi di azoto;
• nelle celle a combustibile. Sono sistemi elettrochimici capaci di convertire l’energia chimica di un combustibile direttamente in energia elettrica con un rendimento nettamente superiore a quello degli impianti convenzionali e senza emissioni di CO2.
Le celle a combustibile sono una soluzione già adottata da molte case automobilistiche per la costruzione di prototipi elettrici alimentati a idrogeno.
Un’automobile a celle a combustibile produce a bordo l’elettricità necessaria al suo funzionamento, senza emissioni nocive;
• nelle centrali termoelettriche a idrogeno. I programmi di ricerca e sviluppo della tecnologia consentiranno di costruire impianti che utilizzeranno l’idrogeno per la generazione centralizzata di energia elettrica. Questi impianti, abbinati ad un sistema di separazione e di confinamento della CO2, ad esempio in giacimenti esauriti di petrolio o di metano, permetteranno la produzione di elettricità con un alto rendimento e senza rilascio di anidride carbonica.
(Tratto e adattato da: Clima e cambiamenti climatici, 2005, Roma, ENEA)
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B4. L’impiego dell’idrogeno per le auto può avvenire in due modi. Indica quali, completando le frasi seguenti
1. L’idrogeno può essere usato nei ………………………………………………………………………………… direttamente come …………………………………………………………………….
2. L’idrogeno può essere usato nelle ……………………………………………………………………… per trasformare l’energia ……………………………………………………………………………….. in energia …………………………………………………………….
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1. L’idrogeno puo` essere usato nei motori a combustione (interna) direttamente come combustibile. 2. l’idrogeno puo` essere usato nelle celle a combustibile per trasformare l’energia chimica in energia elettrica. Corretta: quando completa tutte le parti mancanti delle due frasi
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2012_08_PN_B
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altro
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La giornata
Il vecchio Andurro, che non conosceva la propria età, si svegliò nella notte alta, come sempre gli accadeva. Malgrado fosse già sveglio, non poteva però alzarsi fino alla mattina, quando sua nipote Elena veniva per aiutarlo. Da solo, era incapace di alzarsi.
Le ore di immobilità e di silenzio, fino all’alba, scorrevano per lui senza fastidio né dolore, facili come acqua. Dalla sua camera stretta e quasi sotterranea lui non vedeva di fuori; pure avvertiva il pullulare delle stelle nell’arco celeste e il loro trascolorarsi finché pensava: «Ci siamo». E, si può dire, nello stesso istante, per le fessure trapelava la prima luce, simile nel colore ad un viso pallido e ancora sbattuto dai sogni.
Il vecchio Andurro pensò: «Fra poco verrà mia nipote Elena mentre prima veniva mia moglie Maria. Era una vecchia ancora così vispa, sempre a chiacchierare e arruffarsi come una gallina, quando già io non potevo fare due passi in fila. Le dicevo: “Con chi borbotterai, Gallinella, quand’io sarò sotterrato?” Invece, guarda, lei è morta, e io son qua».
Egli rise un poco e scosse la testa. In quel punto arrivò, alta, a piedi nudi, la nipote Elena.
Chinando su lui gli occhi neri, che le raggiavano nella fronte come due astri, seria ed esperta lo vestì e lo aiutò a sedersi sul gradino della soglia. Non dimenticò di lasciargli la scodella della zuppa che doveva bastargli per tutto il giorno: una pappa di pane molle e d’erbe tritate, quanto esiste di meglio per un vecchio buono solo a biascicare. E senza rumore, movendo con nobilissima grazia il fianco, la nipote Elena se ne andò.
Seduto sullo scalino della soglia, il vecchio sapeva che il sole si era levato ma, nascosto dalla montagna, non si vedeva. Dai fianchi della montagna ne trapelava l’ardore, finché apparvero i raggi e il vecchio pensò per la millesima volta: «Pare lo Spirito Santo dietro la nuvola». Questo pensiero lo tenne occupato parecchio tempo; alla fine, libera, di sulla montagna si versò la meravigliosa corrente d’oro, e i vetturini uscirono per addobbare i loro cavalli e partirono fra gli schiocchi delle fruste. A tutti, Andurro gridava: – Buon viaggio! – ma essendo la sua voce impastata e roca, simile ad un brontolio di tuono, essi non lo capivano.
Alle dieci cominciava il passaggio dei signori che scendevano al mare: – Accomodatevi, signorini, – supplicava il vecchio, – salite sulla mia terrazza, che c’è il bel panorama –.
Credendo che il suo scopo fosse il guadagno, i più rifiutavano. Invece Andurro non voleva compenso, anzi offriva alle signore i garofani della sua terrazza. Non potendo lui stesso salire fin lassù, da dove appariva fino il vulcano e le isole, voleva che almeno qualcun altro godesse al suo posto. – Bello! – gridavano tutti dall’alto. E il vecchio rideva contento per l’onore.
A mezzogiorno, biascicò metà della zuppa, lasciando il resto per la cena. Per alcune ore nessuno passò, fuori dei marmocchi seminudi che si rotolavano nella polvere e di qualche asino portato alla cavezza da una bambina. Buona parte di questo tempo, il vecchio la trascorse con la testa chinata sulle ginocchia o appoggiata allo stipite. Udendo le campane pensò alla canzone: «Din don, campanon, fra Simon». Anche simile canzone ebbe il potere di occupare la sua mente per lunghe ore; al modo di un suono che nasce da un punto, e attraverso una rupe, e un’altra, e un’altra, si ripercuote per amplissimo spazio.
A intervalli, la nipote Elena appariva per offrirgli i suoi servigi. Salutandola con gesto indulgente egli le gridò: – Ce l’hai il damo?
Il sole scese dalla parte del mare, ma il vecchio solo vagamente ne distingueva l’ardente cerchio. Prima che l’umidità vespertina potesse penetrargli nelle ossa, venne la solerte nipote Elena, alta e a piedi nudi; e chinando su di lui gli occhi neri, che le facevano ombra nella fronte come due rose di velluto, lo spogliò e lo mise a letto. Poi, fattogli sul viso il segno della croce, andò via.
Dalla sua camera stretta e quasi sotterranea, di nuovo il vecchio non vedeva di fuori; ma avvertiva la prima animazione delle stelle nel crepuscolo del cielo, e il loro accendersi in un punto fisso. «A quest’ora, – pensò, – mia moglie Maria quand’era viva recitava il rosario, e cip cip, cip cip, non la finiva più. Se Dio vuole, quella sua canzonetta sarà servita anche per me.
Così non dovrò preoccuparmi troppo dell’anima mia. Già».
Grazie a questo pensiero che gli girava nella mente, la sera camminò facile e benigna sulla veglia del vecchio. Battevano le ore della notte, e la luna, sottile quasi quanto un filo, via via procedeva con quel suono. Quand’essa fu molto alta e quasi al declino, il vecchio Andurro si addormentò.
(Tratto e adattato da: Elsa Morante, Lo scialle andaluso, Torino, Einaudi, 2007)
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B4. L’autrice descrive le stelle e il cielo in due punti del testo, alle righe 5-6 e 46-48. Perche´, secondo te, usa espressioni differenti?
1. Alle righe 5 e 6, l’autrice ……………………………………………………………………………………..
2. Invece, alle righe 46 - 48, ……………………………………………………………………………………
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1. alba 2. tramonto
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2012_10_SNV_B
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altro
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Via Scarlatti
La poesia è stata scritta da Vittorio Sereni nel 1945, in occasione del suo trasloco in via Scarlatti a Milano. La seconda guerra mondiale era appena finita e Milano era stata pesantemente bombardata. Il poeta aveva già avuto esperienza diretta della guerra come soldato.
Con non altri che te
è il colloquio.
Non lunga tra due golfi di clamore
va, tutta case, la via;
ma l’apre d’un tratto uno squarcio
ove irrompono sparuti
monelli e forse il sole a primavera.
Adesso dentro lei par sera.
Oltre anche più s’abbuia,
è cenere e fumo la via.
Ma i volti i volti non so dire:
ombra più ombra di fatica e d’ira.
A quella pena irride
uno scatto di tacchi adolescenti,
l’improvviso sgolarsi d’un duetto
d’opera a un accorso capannello.
E qui t’aspetto.
(Vittorio Sereni, Gli strumenti umani in M.T. Sereni (a cura di) “Tutte le poesie”, Milano, Arnoldo Mondadori, 1986)
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C1. La poesia e` divisa in tre parti. Associa il numero dei versi con il loro contenuto collegando con una freccia gli elementi delle due colonne.
Parti della poesia
a) Presenta e descrive via Scarlatti
b) Apre un dialogo con una persona
c) Conclude il dialogo
Versi
a) Versi 1-2
b) Verso 17
c) Versi 3-16
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a-3; b-1; c-2
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2012_10_SNV_C
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altro
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Leggi questo testo e rispondi alle domande che lo seguono.
Il panda gigante
Una vita in bianco e nero
I cinesi lo chiamano “beishung” o orso bianco e lo conoscono da più di 4000 anni. Noi occidentali, invece, lo a bbiamo scoperto da poco, da quando cioè Padre David (sacerdote, naturalista ed esploratore) lo descrisse al mondo scientifico internazionale nel 1869. I reperti fossili dimostrano che un tempo il panda gigante era diffuso su gran parte del territorio cinese. Oggi, invece, di panda ne restano pochissimi, forse meno di 1600, divisi in tante piccole popolazioni. Almeno 800 però abitano all'interno delle riserve create dal governo cinese in collaborazione con il WWF.
Il panda visto… dallo spazio!
I pericoli che minacciano la sopravvi venza dei panda non sono pochi: c'è la deforestazione, il bracconaggi o, il crescente disturbo da parte dell'uomo e, purtroppo, anche le catture accidentali con trappole destinate ad altri animali.
Per tenere costantemente sotto controllo la situazione degli ultimi panda e il loro habitat si è ricorsi perfino all'occhio del satellite. Cosa ha vist o? Niente di bello, purtroppo! L'ambiente natura le del panda, le foreste di bambù, è diminuito della metà negli ultimi 15 anni, ed ora è ri dotto ad appena 11.000 kmq in sei aree isolate fra loro.
Pancia mia fatti capanna!
Ben nascosto fra il fitto fogliame della foresta, il panda mangia una montagna di bambù (dai 12 ai 14 chili) per più di 14 ore al giorno! Compensando, con la quantità, le scarse proprietà nutritive del vegetale. Questo fa del panda gigante il più vegetariano di tutti i carnivori. Nonostante la robusta dentatura e il sistema digestivo tipico del carnivoro, questo simp atico orso si nutre principalmente delle foglie e dei teneri germogli di due specie di bambù. E solo occasionalmente integra la sua dieta con qualche invertebrato o piccolo roditore che gli capita a portata di zampa.
(Da: «Panda junior», n.1-2 genna io-febbraio 2008, pp 18-19)
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B11. Nella tabella qui sotto ci sono alcune informazioni tratte dal testo. Per
ognuna di esse, indica con una crocetta se l’informazione suggerisce
che il panda è vegetariano o che il panda è carnivoro o se
l’informazione non serve per stabilirlo.
L’informazione: suggerisce che suggerisce che non serve
il panda è il panda è
vegetariano carnivoro
a) Ha denti forti
b) Mania i germogli di due varietà di bambù
c) Mangia piccoli roditori
d) Rischia di estinguersi perché scompare il
suo ambiente naturale
e) Mangia invertebrati
f) Si nutri di foglie
g) Ha l’apparato digestivo diverso da quello
degli animali erbivori
h) Si nasconde nel fitto fogliame della foresta
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a): 2; b): 1; c): 2; d): 3; e): 2; f): 1; g): 2; h): 3.
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['item_1379_0.png']
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2009_05_SNV_B
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altro
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AGOSTO 1963
Faceva un gran caldo, ma di colpo fui attraversato da un brivido che mi gelò il sudore nella maglietta, perché la prima cosa che vidi, quando arrivammo, fu la macchina dei carabinieri. Era in mezzo al cortile e quasi ci sbattei contro: ero lanciatissimo sulla mia bici e per evitarla andai addosso al mio amico Francesco, che pedalava di fianco a me.
Frenammo e ci bloccammo lì, ansimanti.
— Ohi ohi! — disse lui.
lo non ebbi la forza di fiatare. Il cuore mi galoppava a cento all'ora, e mica per la corsa in bicicletta. Era che da una settimana la sognavo tutte le notti, ‘sta cosa: che venivano, mi prendevano e mi sbattevano in prigione, in una cella nera e umida.
— Dai, — diceva Francesco, l’unico a cui raccontavo tutto — sei piccolo, mica ti possono arrestare...
— Sì che possono, rispondevo io...
La porta di casa si aprì e uscì in cortile la mamma.
— Ah, sei qua, — disse. — Allora, vi siete divertiti?
Avevo dormito a casa del mio amico, perché la sera prima aveva festeggiato il suo compleanno.
Se la mamma mi parlava senza strapparsi i capelli o lanciarmisi contro per strangolarmi, voleva dire che forse i carabinieri non erano venuti per me.
— Cosa è successo?
— Stanotte ci hanno rubato dei polli.
— Ma c’era bisogno di chiamare i carabinieri, per due polli?
— Non sono due, sono dieci; e poi chi dovevamo chiamare, il parroco? — disse la mamma.
— È da mezz'ora che parlano col babbo e col nonno, e mi sa che non si sono ancora capiti.
Due carabinieri stavano discutendo ad alta voce con mio padre, che scuoteva la testa e rideva in modo isterico. — Questa poi, — diceva, — Le supera tutte! Ma state scherzando o fate sul serio?
Mio nonno abbandonò la scena, partì camminando verso casa spedito, quasi correndo.
— Ehi... — dissi allora al babbo — Ma cosa succede?
— Succede che questi qui, invece di cercare i nostri polli, ci vogliono portare via anche quelli che i ladri non hanno rubato!
— Non vogliamo portare via niente, — disse uno dei militari. — Abbiamo soltanto detto che la descrizione coincide: ai vostri vicini hanno rubato dodici galline bianche, e qui ci sono dodici galline bianche.
— Il babbo diventò ancora più paonazzo. — Sentite un po’ questa, bambini! Sembra una barzelletta!
— Signore, non si permetta... — disse il carabiniere che fino ad allora aveva taciuto, ma si interruppe subito perché stava arrivando il nonno di gran carriera con la doppietta in mano. Il nonno si piazzò davanti al pollaio e disse — Chi tocca le galline, lo impallino.
I due in divisa parlottarono tra loro e poi se ne andarono zitti zitti.
— Andiamo a fare un giro? — chiesi a Francesco.
Pedalammo fino all’argine del fiume, posammo le bici e ci sedemmo nell'erba a guardare l’acqua che scorreva verde e lenta.
— Ero sicuro che fossero venuti per me, — dissi - Un omicidio è sempre un omicidio, altro che furto di polli!
Insomma, era successo che una settimana prima io e Paolino, un bambino che aveva un paio d'anni meno di me, eravamo andati, di sera, a prenderci un cocomero da un vicino. Ne aveva così tanti!
Arrivati sul posto c'eravamo divisi i compiti: io oltrepassavo la recinzione, lui mi aspettava dall'altra parte, attento che non venisse nessuno. Superata la recinzione, ero saltato giù nel campo, avevo abituato gli occhi all’oscurità e mi ero messo, carponi, a cercare la preda.
A un certo punto l’avevo trovata: era il cocomero più grosso che avessi mai visto; tenendolo in mano non mi sarei potuto arrampicare sulla barriera. Allora avevo detto a Paolino, che non vedevo per via delle foglie: — Te lo butto, poi scavalco e ce la filiamo.
— Va bene! — aveva risposto lui.
Mi ero messo il cocomero sulla testa con le mani appoggiate sotto, poi, con una bella spinta la refurtiva era volata oltre la recinzione. E avevo sentito un rumore sordo che non mi era piaciuto affatto.
— Tutto bene? — avevo chiesto.
Nessuna risposta.
— Ehi, Paolino, ci sei?
Niente.
Avevo scavalcato con un gran brutto presentimento, e mi si era presentata una scena agghiacciante. Il mio complice era steso per terra e intorno aveva un sacco di poltiglia rossa. Il cocomero doveva averlo preso in pieno, e secondo me in quella pozza si mescolavano cocomero e contenuto della testa di Paolino in quantità più o meno uguali.
In preda al panico ero saltato sulla bicicletta e via.
Ora, devo dire la verità, non è che friggessi dal rimorso o dal senso di colpa: se Paolino c'era rimasto secco col cocomero era colpa sua che doveva essersi distratto. Però avevo il terrore che qualcuno scoprisse che ero stato io. Ecco perché vedere i carabinieri mi faceva venire i sudori freddi.
Quando tornai a casa vidi due cose.
La prima fu il nonno che, ancora con il fucile in mano, se ne stava di sentinella al pollaio.
La seconda fu Paolino che transitava in bicicletta sulla strada.
— Ehi! — gli gridai, stupito e decisamente sollevato.
Lui venne da me e mi disse:
— M'hai fatto male con quel cocomero, sai?
— Ma non sei tu che al campetto vuoi sempre giocare in porta? Neanche un cocomero sai parare!
— Riproviamo a prenderne uno, stasera? — mi chiese.
— Neanche per sogno, — e gli girai le spalle.
(Tratto e adattato da: E. Baldini, L’uomo nero e la bicicletta blu, Torino, Einaudi Stile libero, 2011)
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A12. “-Cosa è successo?” (riga 21) chiede il protagonista alla mamma. Con
questa domanda si inizia a raccontare ciò che è accaduto a casa del
protagonista mentre lui non c’era.
Completa la sintesi di quel racconto, inserendo negli spazi le parole
mancanti. In ogni spazio puoi mettere una sola parola.
Nella notte in cui il protagonista non era in casa, c’è stato un
......................................(1) di polli nel suo cortile. Vengono chiamati i carabinieri in
aiuto, ma tra loro e il papà e il nonno nasce una ....................................(2) accesa.
Nella stessa notte infatti sono state rubate 12 galline bianche nel pollaio dei
......................................(3) e i carabinieri notano che nel cortile del protagonista
c’è proprio lo stesso tipo e lo stesso ......................................(4) di animali. In
questo modo i carabinieri fanno capire di avere dei sospetti nei confronti del
papà e del nonno, che a quel punto si sentono ingiustamente
......................................(5). Allora il padre si innervosisce e il nonno reagisce
minacciandoli con il ...................................... (6).
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1. furto 2. discussione 3. vicini 4. numero 5. accusati 6. fucile
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2019_05_SNV_A
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altro
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C1. Se non conoscessi il significato delle parole sotto elencate, quale voce
andresti a cercare sul dizionario? Scrivila accanto ad ogni parola.
Osserva l’esempio.
Bellissimo………bello…
a) parliamo …………………………………
b) rarissima …………………………………
c) nipotino …………………………………
d) sedie …………………………………
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a) parlare b) raro c) nipote d) sedia
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2019_05_SNV_C
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altro
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Gli occhiali musicali
-1-
Alessandro non amava il solfeggio, e addirittura confondeva le note: do re mi sai fo li so da. Che pasticci! Il suo violino strideva: criiiiiiiiiii-ing! - È un tormento! - diceva Alessandro.
- Faresti meglio a comprarti un paio di occhiali! - sogghignava il maestro di musica.
E così Alessandro si comprò gli occhiali.
Il venditore di occhiali musicali era un vecchio cinese curvo e grinzoso; non faceva che ridere con aria beffarda, stropicciandosi le mani: - lh-ih-ih! So bene che cosa ti occorre! Eccoti degli occhiali per leggere il tuo metodo di solfeggio!
-2-
Erano occhiali prodigiosi. Più nessun bisogno di studiare.
Alessandro inforcava gli occhiali e suonava tutto lo spartito senza sforzo.
- Che progressi! - esclamò il maestro di musica. - Mai visto niente di simile! Alessandro tornò a casa tutto compiaciuto e ripose il violino in un angolo. Non valeva più la pena di affaticarsi. Ma il mercoledì seguente, che disastro! Aperto il «Metodo di violino», Alessandro inforcò gli occhiali, sollevò l'archetto, e... non riusciva a leggere l'esercizio!
- Che aspetti per cominciare? - chiese il maestro, impaziente.
- Eeeh ....lo ... Glub ...... Non so ..... - farfugliò penosamente Alessandro.
Ripose il violino nell'astuccio, richiuse il «Metodo»; e allora capì che cos'era successo! Aveva comprato degli occhiali per il metodo numero uno, e invece era il numero due quello che avrebbe dovuto decifrare: si era sbagliato! E allora?
- È vero - disse il vecchio venditore di occhiali sfregandosi le mani. - Per ogni singolo metodo esistono occhiali particolari. Bisogna cambiare occhiali ogni volta che cambi metodo!
- È un tormento! - gemeva Alessandro.
Comprò un secondo paio di occhiali.
-3-
- Sono contento di te, - dichiarò il maestro di musica - potresti studiarmi questo pezzo di Bach per la settimana prossima?
Era una partitura difficile. Corse dal vecchio cinese, che lo rassicurò. Ma sì, vendeva anche gli occhiali per suonare quel pezzo di Bach.
Alessandro comprò gli occhiali. E nelle settimane che seguirono, comprò altri occhiali per suonare pezzi di Mozart, Beethoven e perfino Esposito-Brambilla.
Dicevano che era dotato, che leggeva a meraviglia i pezzi più arzigogolati.
Un bel giorno il maestro di musica annunciò:
- Daremo un concerto.
- Eeeh.... lo..... Glub... No grazie... - farfugliò Alessandro.
Si vergognava, aveva paura; però possedeva una cinquantina di paia di occhiali musicali.
Il concerto fu un successo. Alessandro venne invitato a suonare alla radio, alla televisione, la sua fotografia era sul giornale. Ma ora possedeva quasi trecento paia di occhiali. (Gli succedeva d'altronde di comprare dei pezzi di musica che il maestro non gli aveva chiesto: li suonava a casa, per suo piacere personale.) - lh-ih-ih ! Cominci ad amare la musica! - ridacchiava il vecchio cinese, sfregandosi le mani.
Alessandro non rispondeva. Di nascosto, aveva cercato di leggere dei pezzi di musica senza occhiali. Un disastro! Le note si confondevano come prima. Do rol ma fi sa lo si da! Saltabeccavano sugli spartiti come migliaia di pulci! Si nascondevano dietro le stanghette delle battute come tante pecore quando saltano le staccionate! Erano bianche, nere, di tanti colori! E c'erano pause dappertutto, ma le pause più angosciose erano quelle di Alessandro! - È un tormentooooo! - piagnucolava. Aveva una gran voglia di essere smascherato!
-4-
Un giorno che era a scuola, successe il disastro. La sua mamma, nel fare le grandi pulizie, scoprì la collezione di occhiali.
Li prese per degli stupidi gadget e buttò ogni cosa nella spazzatura! Al suo ritorno, Alessandro non trovò più niente. Si mise a piangere, a gridare, a pestare i piedi. - È un tormentoeeee ! - urlava. Alessandro corse dal venditore di occhiali.
Ma il vecchio cinese gli spiegò, sfregandosi le mani, che non possedeva duplicati dei famosi occhiali musicali.
Poverino! Come confessare al maestro di musica, ai genitori, ai compagni, agli ammiratori e alle ammiratrici di essere un imbroglione!
Tornò a casa e si mise a letto per farsi credere malato. Pensa e ripensa Di colpo balzò giù dal letto e tornò dal venditore di occhiali: -Voglio imparare i vecchi pezzi! - gli disse.
- Può lasciarmi esercitare qui da lei, in segreto?
Il cinese si sfregò le mani con un sorriso largo così, perché era proprio quello che aveva sperato.
-5-
Per settimane, per mesi, a mezzogiorno e alla sera, Alessandro prese la strada del piccolo negozio invece di andare a giocare con gli amici. E un po' alla volta imparò il solfeggio. Do re mi fa sol la si do. Facile. Imparò la chiave di sol, la chiave di fa, la chiave di do e tutto il resto del mazzo di chiavi. Un giorno, suonando i vecchi pezzi, riuscì a far cantare il violino. Allora, la pigrizia (o l'abitudine) lo riprese:
- Per il prossimo pezzo mi comprerò un paio di occhiali.
Il venditore glieli procurò sfregandosi le mani con aria sorniona. Alessandro inforcò gli occhiali e suonò il pezzo senza errori. Era contento. Ma il vecchio scoppiò a ridere riprendendosi i famosi occhiali, ih-ih-ih. Passò le dita nei fori: erano occhiali senza lenti!
- Ma allora...? Che significa tutto questo?
- Significa - ridacchiò il venditore - che ora conosci la musica e non hai più bisogno di occhiali! Alessandro aggrottò le sopracciglia, «È ancora un tormento» pensò. Ma sollevò l'archetto e suonò di nuovo il pezzo senza occhiali. Quando ebbe terminato, senza una sola nota falsa, restò un momento in silenzio con l'archetto in aria.
Era commosso.
(Tratto e adattato da: V. Rivais, Calma e sangue freddo!, Trieste, EMME EDIZIONI, 1993)
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A15. Questo testo è stato diviso in cinque paragrafi. A questi sono stati assegnati cinque “titoli”, che potrebbero
essere pensieri di Alessandro relativi a quanto succede in ciascuno di quei paragrafi.
Indica qual è il titolo di ciascun paragrafo, collegando con una freccia ogni elemento della colonna A con un
elemento della colonna B.
Attenzione: c’è un titolo in più.
a) Con gli occhiali ora vado alla grande, ma quando mi esercito senza occhiali sono ancora un disastro. - Paragrafo 1/ Paragrafo 2/ Paragrafo 3/ Paragrafo 4/ Paragrafo 5
b) Ce l'ho fatta, Senza occhiali si può! Ma quanto impegno ci è voluto e ci vuole!! - Paragrafo 1/ Paragrafo 2/ Paragrafo 3/ Paragrafo 4/ Paragrafo 5
c) I grandi non si fanno mai gli affari loro: e ora come rimedio a questo guaio? - Paragrafo 1/ Paragrafo 2/ Paragrafo 3/ Paragrafo 4/ Paragrafo 5
d) D'accordo, devo fare qualcosa per suonare meglio, ha ragione il mio maestro - Paragrafo 1/ Paragrafo 2/ Paragrafo 3/ Paragrafo 4/ Paragrafo 5
e) È proprio vero che i cinesi stanno conquistando il mercato degli occhiali - Paragrafo 1/ Paragrafo 2/ Paragrafo 3/ Paragrafo 4/ Paragrafo 5
f) Pensavo di aver risolto il problema con un solo paio di occhiali, invece la soluzione è più complicata. - Paragrafo 1/ Paragrafo 2/ Paragrafo 3/ Paragrafo 4/ Paragrafo 5
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Paragrafo 1 - d Paragrafo 2 - f Paragrafo 3 - a Paragrafo 4 - c Paragrafo 5 - b
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2018_05_SNV_A
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altro
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L’anello di re Salomone - premessa
“Ciò che seminai nell'ira
crebbe in una notte
rigogliosamente ma
la pioggia lo distrusse.
Ciò che seminai con amore
germinò lentamente
maturò tardi
ma in benedetta abbondanza”.
PETER ROSEGGER
Per scrivere sugli animali bisogna essere ispirati da un affetto caldo e genuino per le creature viventi, e penso che a me questo requisito verrà senz'altro riconosciuto. Ma ho voluto citare i bei versi di Peter Rosegger, perché questo libro è scaturito non solo dal mio grande amore per gli “animali”, ma anche dalla mia ira contro i “libri” che trattano di animali. E devo riconoscere che se mai nella mia vita ho agito sotto l'impulso dell'ira, è stato proprio nella stesura di queste storie di animali.
Ma di che cosa mi adiravo? Delle molte storie di animali, incredibilmente false e cattive, che ci vengono offerte oggi in tutte le librerie; dei molti pennaioli che pretendono di parlare degli animali senza saperne un bel nulla.
Chi scrive che le api urlano e spalancano le fauci, o che i lucci, lottando tra loro, si prendono per la gola, dimostra di non possedere neppur la più pallida idea dei caratteri di quegli animali, che pretende invece di avere direttamente e amorevolmente osservato. Se per compilare un libro sugli animali bastassero alcune informazioni delle esistenti società di allevatori, persone come Heck senior, Bengt Berg, Paul Eipper, Ernest Seton Thompson, o Wäscha Kwonnesin, che hanno dedicato tutta la vita alle ricerche sugli animali, sarebbero da considerarsi sciocche. Non si possono sottovalutare gli innumerevoli errori che queste irresponsabili storie di animali diffondono fra i lettori, e soprattutto tra i giovani, vivamente interessati a questo argomento.
E non si obietti che queste falsificazioni sono una legittima libertà della rappresentazione artistica. Certo, i poeti hanno diritto di “stilizzare” anche gli animali, come qualsiasi altro oggetto, secondo le necessità del processo artistico: i lupi e le pantere di Rudyard Kipling, il suo impareggiabile mungo Rikhi-tikkitavi parlano come gli uomini, e l'ape Maja di Waldemar Bonsels può esibire un comportamento non meno corretto e gentile del loro.
Ma queste stilizzazioni sono permesse solo a chi conosce veramente l'animale. Anche gli artisti figurativi non sono tenuti a rappresentare le cose con precisione scientifica, ma guai a colui che non conosce l'oggetto che pretende di rappresentare, e che si serve della stilizzazione solo per mascherare la propria ignoranza! Io sono uno scienziato, non un artista, e quindi non mi permetto nessuna libertà e nessuna “stilizzazione”.
Inoltre ritengo che queste libertà non siano affatto necessarie, e che sia molto meglio attenersi, come nei veri e propri lavori scientifici, semplicemente ai fatti, se si vuole dischiudere al lettore la bellezza del mondo animale.
Le verità dell'universo organico si impongono infatti sempre più al nostro amore e alla nostra ammirazione e divengono sempre più belle quanto più profondamente si penetra in ogni loro peculiarità, ed è proprio insensato credere che l'oggettività della ricerca, il sapere, la conoscenza dei fenomeni naturali, possano far diminuire la gioia procurataci dalle meraviglie della natura. Anzi, quanto più l'uomo impara a conoscere la natura, tanto più viene preso profondamente e tenacemente dalla sua viva realtà. E in ogni buon biologo che sia stato chiamato alla sua professione dal godimento interiore che gli procurava la bellezza delle creature viventi, tutte le conoscenze acquistate attraverso la professione non hanno fatto che approfondire il godimento e l'amore della natura e del proprio lavoro. Per il campo di indagine cui ho dedicato la mia vita, cioè lo studio del comportamento animale, ciò vale ancor più che per ogni altro campo di ricerca nel mondo vivente: questo studio esige una dimestichezza così immediata con il mondo animale, ma anche una pazienza così disumana da parte dell'osservatore, che non basterà a sostenerlo il solo interesse teorico per gli animali, se mancherà l'amore che nel comportamento dell'uomo e dell'animale riesce a cogliere e constatare quell'affinità di cui aveva già da prima un'intuizione.
Oso dunque sperare che questo libro non mi venga distrutto dalla pioggia: ammetto infatti io stesso di averlo concepito nell'ira, ma quest'ira è frutto a sua volta del mio grande amore per gli animali!
Altenberg, estate 1949.
KONRAD LORENZ
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D6. Inserisci nel testo che segue le parole o espressioni mancanti. Attenzione: ci sono due parole in più.
anzi invece prima ma quanto più anziché mentre tanto più
Konrad Lorenz afferma che………………l’artista può concedersi delle libertà nel descrivere la natura, lo
scienziato deve………………attenersi ai fatti.
………………è sbagliato credere che l’indagine scientifica dei fenomeni naturali non permetta
di apprezzare la bellezza della natura, ………………questa bellezza diviene………………evidente ai nostri occhi
…………….i fatti sono studiati e indagati.
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a) mentre; b) invece; c) ma; d )anzi; e) tanto più; f) quanto più.
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2019_08_SIM_D
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altro
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null |
C8. Indica il nome alterato in ognuna di queste serie di nomi.
a) lampone burrone termosifone scatolone
b) tavolino scontrino postino bagnino
c) oggetto affetto cancelletto dialetto
d) caramella gonnella ciambella bretella
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a) scatolone b) tavolino c) cancelletto d) gonnella
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2014_05_SNV_C
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altro
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IL GRAN VIAGGIO DI AGATA
Faceva un caldo micidiale e sul binario regnava il caos.
Bambini esaltati correvano da tutte le parti e la mamma mi salutava piangendo come se non dovesse vedermi più per molti anni. In realtà la gita di classe sarebbe durata solo una settimana. Una settimana a Ulm con la maestra, la signora Salici, e il signor Holm, il professore di educazione fisica. Ulm era una città da qualche parte in basso a sinistra…
Finalmente è arrivato il treno.
Io volevo assolutamente mettermi nello scompartimento con Richard, Bernard e Tom, Susanne e Christiana.
Era tutto un gran spintonare e sgomitare. Tom avanzava a fatica dal fondo dello stretto corridoio, aveva una pancia più sporgente del solito. Bernard gli stava dietro. Io e Richard arrivavamo dalla parte opposta, Susanne e Christiana si erano piantate davanti a uno scompartimento vuoto e tenevano i posti.
Abbiamo buttato dentro gli zaini e ci siamo affacciati al finestrino a salutare i nostri genitori. Il capostazione ha fischiato e il treno è partito, poi ha fatto una curva e sono spariti tutti.
Lo scompartimento era davvero super. Abbiamo tirato in avanti i sedili formando un unico grande letto e ci siamo messi comodi, ma quando Christiana ha posato lo sguardo sulla pancia di Tom ha lanciato un urlo.
La pancia di Tom si muoveva, qualcosa si spostava sotto la sua camicia.
Tom ha alzato la stoffa. Sulla pancia cicciottella di Tom una tartarughina si muoveva sulle sue buffe zampette. Questa è Agata ha detto Tom.
Il patatrac è successo il quarto giorno.
Cari bambini, ha iniziato la maestra, oggi andremo a fare un’escursione in montagna, al Blautopf, un laghetto molto lontano dall’ostello, con un’acqua tutta blu.
Christiana ha domandato quanto fosse lontano, e il professor Holm ha risposto beh, c’è da fare una camminata di quindici chilometri.
La signora Salici ha sorriso al professore, che l’ha ricambiata con i suoi dentoni bianchi da sportivo.
Quindici chilometri, ha pigolato Susanne.
Andata e ritorno sono trenta, ha infierito Christiana.
Quei due sono pazzi, ha bisbigliato Richard.
Non sono pazzi nemmeno un po’, ha commentato Susanne, sono cotti e siamo fortunati che non ci facciano camminare per cento chilometri, perché agli innamorati non importa niente di niente.
Bernard ha chiesto a Susanne come faceva a sapere che erano innamorati.
Susanne lo ha guardato come se fosse la persona più stupida del mondo. Le donne certe cose le sentono, ha bisbigliato. Quando due persone sono innamorate, c’è una vibrazione speciale nell’aria.
Io non avverto nessuna vibrazione, ha confidato Bernard a Susanne.
Aspetta e vedrai.
Cinque ore più tardi Tom era seduto su un tronco d’albero in riva a quello stupido laghetto, che non era per niente azzurro, e piagnucolava che aveva le vesciche ai piedi. Aveva posato accanto a sé lo zaino con dentro Agata. Era rosso per la fatica e sudava da matti.
A me la camminata era piaciuta. C’eravamo raccontati barzellette e avevamo cantato. Ogni tanto osservavamo la signora Salici e il signor Holm per non perderci qualche eventuale vibrazione. Arrivati al Blautopf la signora Salici naturalmente era estasiata, Susanne sosteneva che avrebbe trovato esaltante pure un mucchio di letame, tanto era cotta.
Poi, è successo.
Tom si è alzato sul tronco e mentre saltellava da una vescica all’altra, inavvertitamente ha urtato lo zaino, che ha fatto splash ed è finito nel laghetto.
Con Agata dentro.
Christiana ha lanciato un grido.
Tom si è messo a frignare, Agata annega, lui non sapeva nuotare e nemmeno Agata, perché era una tartaruga di terra.
La maestra ha domandato, quale tartaruga?
Poi c’è stato un secondo splash, Bernard si era tuffato al salvataggio dello zaino. Il terzo splash era di Susanne, lanciata dietro Bernard. Il quarto della signora Salici, per seguire i suoi due alunni.
Ci siamo messi tutti a strillare come pazzi, correndo sulla riva. Era uno spettacolo vedere loro tre nuotare in mezzo al laghetto.
Bernard aveva recuperato lo zaino e lo teneva alto sopra la testa, Susanne aveva afferrato Bernard con una vera presa da salvataggio e lo trascinava a riva. Richard li ha aiutati a uscire dall’acqua. La maestra avrebbe anche potuto rimanere là, tanto l’acqua le arrivava solo fino al seno.
Quando tutti ormai erano usciti dall’acqua, il signor Holm è arrivato di corsa.
La signora Salici si è gettata tra le sue braccia, come in un film d’amore, spruzzando gocce d’acqua in tutte le direzioni. Poi il signor Holm l’ha baciata sul serio, mentre diceva Giovanna, amore mio, mia amata!
Tom ha tirato fuori dallo zaino Agata, che si era solo un po’ bagnata, se l’è messa davanti al viso e le ha sussurrato Agata, mio unico grande amore, poi l’ha baciata sul guscio.
Tutti si sono sbellicati dal ridere. Grazie al cielo la maestra e il signor Holm non si sono arrabbiati con Tom per via di Agata. La cuoca dell’ostello ha preparato un piattino di insalata verde apposta per lei.
Dopo cena ho portato Agata in camera. Le ho accarezzato il guscio e lei ha agitato le zampette. Mi sono affacciato alla finestra e sul prato di sotto ho visto Bernard seduto accanto a Susanne, che si tenevano per mano. Quando lei gli ha dato un bacio sulla guancia, ho capito perché quel pomeriggio si era tuffata dietro a lui.
L’aria era piena di vibrazioni.
(Tratto e adattato da: Steinhöfel A., traduzione di Petrelli A., Dirk e io, BEISLER editore, 2017, Roma)
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A8. Che cosa ci dice il racconto a proposito dell’escursione?
Completa la sintesi che segue, inserendo la parola appropriata nello spazio.
Durante l’escursione alcuni ragazzi non si accorgono di quanto camminano perché cantano e scherzano.
All’arrivo, dopo esattamente cinque ore di strada, ……………………………………………….. si siede perché è affaticato e i piedi gli fanno male; posa vicino a sé lo zaino con la tartaruga dentro.
La signora Salici trova straordinario il lago, mentre ai ragazzi non sembra niente di speciale.
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1. Tom
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['item_35_0.png']
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2023_05_SNV_A
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altro
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IL GRAN VIAGGIO DI AGATA
Faceva un caldo micidiale e sul binario regnava il caos.
Bambini esaltati correvano da tutte le parti e la mamma mi salutava piangendo come se non dovesse vedermi più per molti anni. In realtà la gita di classe sarebbe durata solo una settimana. Una settimana a Ulm con la maestra, la signora Salici, e il signor Holm, il professore di educazione fisica. Ulm era una città da qualche parte in basso a sinistra…
Finalmente è arrivato il treno.
Io volevo assolutamente mettermi nello scompartimento con Richard, Bernard e Tom, Susanne e Christiana.
Era tutto un gran spintonare e sgomitare. Tom avanzava a fatica dal fondo dello stretto corridoio, aveva una pancia più sporgente del solito. Bernard gli stava dietro. Io e Richard arrivavamo dalla parte opposta, Susanne e Christiana si erano piantate davanti a uno scompartimento vuoto e tenevano i posti.
Abbiamo buttato dentro gli zaini e ci siamo affacciati al finestrino a salutare i nostri genitori. Il capostazione ha fischiato e il treno è partito, poi ha fatto una curva e sono spariti tutti.
Lo scompartimento era davvero super. Abbiamo tirato in avanti i sedili formando un unico grande letto e ci siamo messi comodi, ma quando Christiana ha posato lo sguardo sulla pancia di Tom ha lanciato un urlo.
La pancia di Tom si muoveva, qualcosa si spostava sotto la sua camicia.
Tom ha alzato la stoffa. Sulla pancia cicciottella di Tom una tartarughina si muoveva sulle sue buffe zampette. Questa è Agata ha detto Tom.
Il patatrac è successo il quarto giorno.
Cari bambini, ha iniziato la maestra, oggi andremo a fare un’escursione in montagna, al Blautopf, un laghetto molto lontano dall’ostello, con un’acqua tutta blu.
Christiana ha domandato quanto fosse lontano, e il professor Holm ha risposto beh, c’è da fare una camminata di quindici chilometri.
La signora Salici ha sorriso al professore, che l’ha ricambiata con i suoi dentoni bianchi da sportivo.
Quindici chilometri, ha pigolato Susanne.
Andata e ritorno sono trenta, ha infierito Christiana.
Quei due sono pazzi, ha bisbigliato Richard.
Non sono pazzi nemmeno un po’, ha commentato Susanne, sono cotti e siamo fortunati che non ci facciano camminare per cento chilometri, perché agli innamorati non importa niente di niente.
Bernard ha chiesto a Susanne come faceva a sapere che erano innamorati.
Susanne lo ha guardato come se fosse la persona più stupida del mondo. Le donne certe cose le sentono, ha bisbigliato. Quando due persone sono innamorate, c’è una vibrazione speciale nell’aria.
Io non avverto nessuna vibrazione, ha confidato Bernard a Susanne.
Aspetta e vedrai.
Cinque ore più tardi Tom era seduto su un tronco d’albero in riva a quello stupido laghetto, che non era per niente azzurro, e piagnucolava che aveva le vesciche ai piedi. Aveva posato accanto a sé lo zaino con dentro Agata. Era rosso per la fatica e sudava da matti.
A me la camminata era piaciuta. C’eravamo raccontati barzellette e avevamo cantato. Ogni tanto osservavamo la signora Salici e il signor Holm per non perderci qualche eventuale vibrazione. Arrivati al Blautopf la signora Salici naturalmente era estasiata, Susanne sosteneva che avrebbe trovato esaltante pure un mucchio di letame, tanto era cotta.
Poi, è successo.
Tom si è alzato sul tronco e mentre saltellava da una vescica all’altra, inavvertitamente ha urtato lo zaino, che ha fatto splash ed è finito nel laghetto.
Con Agata dentro.
Christiana ha lanciato un grido.
Tom si è messo a frignare, Agata annega, lui non sapeva nuotare e nemmeno Agata, perché era una tartaruga di terra.
La maestra ha domandato, quale tartaruga?
Poi c’è stato un secondo splash, Bernard si era tuffato al salvataggio dello zaino. Il terzo splash era di Susanne, lanciata dietro Bernard. Il quarto della signora Salici, per seguire i suoi due alunni.
Ci siamo messi tutti a strillare come pazzi, correndo sulla riva. Era uno spettacolo vedere loro tre nuotare in mezzo al laghetto.
Bernard aveva recuperato lo zaino e lo teneva alto sopra la testa, Susanne aveva afferrato Bernard con una vera presa da salvataggio e lo trascinava a riva. Richard li ha aiutati a uscire dall’acqua. La maestra avrebbe anche potuto rimanere là, tanto l’acqua le arrivava solo fino al seno.
Quando tutti ormai erano usciti dall’acqua, il signor Holm è arrivato di corsa.
La signora Salici si è gettata tra le sue braccia, come in un film d’amore, spruzzando gocce d’acqua in tutte le direzioni. Poi il signor Holm l’ha baciata sul serio, mentre diceva Giovanna, amore mio, mia amata!
Tom ha tirato fuori dallo zaino Agata, che si era solo un po’ bagnata, se l’è messa davanti al viso e le ha sussurrato Agata, mio unico grande amore, poi l’ha baciata sul guscio.
Tutti si sono sbellicati dal ridere. Grazie al cielo la maestra e il signor Holm non si sono arrabbiati con Tom per via di Agata. La cuoca dell’ostello ha preparato un piattino di insalata verde apposta per lei.
Dopo cena ho portato Agata in camera. Le ho accarezzato il guscio e lei ha agitato le zampette. Mi sono affacciato alla finestra e sul prato di sotto ho visto Bernard seduto accanto a Susanne, che si tenevano per mano. Quando lei gli ha dato un bacio sulla guancia, ho capito perché quel pomeriggio si era tuffata dietro a lui.
L’aria era piena di vibrazioni.
(Tratto e adattato da: Steinhöfel A., traduzione di Petrelli A., Dirk e io, BEISLER editore, 2017, Roma)
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A8. Che cosa ci dice il racconto a proposito dell’escursione?
Completa la sintesi che segue, inserendo la parola appropriata in ogni spazio.
Durante l’escursione alcuni ragazzi non si accorgono di quanto camminano perché cantano e scherzano.
All’arrivo, dopo esattamente cinque ore di strada, Tom si siede perché è affaticato e i ……………………………………………….. gli fanno male; posa vicino a sé lo zaino con la tartaruga dentro.
La signora Salici trova straordinario il lago, mentre ai ragazzi non sembra niente di speciale.
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2. piedi
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2023_05_SNV_A
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altro
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IL GRAN VIAGGIO DI AGATA
Faceva un caldo micidiale e sul binario regnava il caos.
Bambini esaltati correvano da tutte le parti e la mamma mi salutava piangendo come se non dovesse vedermi più per molti anni. In realtà la gita di classe sarebbe durata solo una settimana. Una settimana a Ulm con la maestra, la signora Salici, e il signor Holm, il professore di educazione fisica. Ulm era una città da qualche parte in basso a sinistra…
Finalmente è arrivato il treno.
Io volevo assolutamente mettermi nello scompartimento con Richard, Bernard e Tom, Susanne e Christiana.
Era tutto un gran spintonare e sgomitare. Tom avanzava a fatica dal fondo dello stretto corridoio, aveva una pancia più sporgente del solito. Bernard gli stava dietro. Io e Richard arrivavamo dalla parte opposta, Susanne e Christiana si erano piantate davanti a uno scompartimento vuoto e tenevano i posti.
Abbiamo buttato dentro gli zaini e ci siamo affacciati al finestrino a salutare i nostri genitori. Il capostazione ha fischiato e il treno è partito, poi ha fatto una curva e sono spariti tutti.
Lo scompartimento era davvero super. Abbiamo tirato in avanti i sedili formando un unico grande letto e ci siamo messi comodi, ma quando Christiana ha posato lo sguardo sulla pancia di Tom ha lanciato un urlo.
La pancia di Tom si muoveva, qualcosa si spostava sotto la sua camicia.
Tom ha alzato la stoffa. Sulla pancia cicciottella di Tom una tartarughina si muoveva sulle sue buffe zampette. Questa è Agata ha detto Tom.
Il patatrac è successo il quarto giorno.
Cari bambini, ha iniziato la maestra, oggi andremo a fare un’escursione in montagna, al Blautopf, un laghetto molto lontano dall’ostello, con un’acqua tutta blu.
Christiana ha domandato quanto fosse lontano, e il professor Holm ha risposto beh, c’è da fare una camminata di quindici chilometri.
La signora Salici ha sorriso al professore, che l’ha ricambiata con i suoi dentoni bianchi da sportivo.
Quindici chilometri, ha pigolato Susanne.
Andata e ritorno sono trenta, ha infierito Christiana.
Quei due sono pazzi, ha bisbigliato Richard.
Non sono pazzi nemmeno un po’, ha commentato Susanne, sono cotti e siamo fortunati che non ci facciano camminare per cento chilometri, perché agli innamorati non importa niente di niente.
Bernard ha chiesto a Susanne come faceva a sapere che erano innamorati.
Susanne lo ha guardato come se fosse la persona più stupida del mondo. Le donne certe cose le sentono, ha bisbigliato. Quando due persone sono innamorate, c’è una vibrazione speciale nell’aria.
Io non avverto nessuna vibrazione, ha confidato Bernard a Susanne.
Aspetta e vedrai.
Cinque ore più tardi Tom era seduto su un tronco d’albero in riva a quello stupido laghetto, che non era per niente azzurro, e piagnucolava che aveva le vesciche ai piedi. Aveva posato accanto a sé lo zaino con dentro Agata. Era rosso per la fatica e sudava da matti.
A me la camminata era piaciuta. C’eravamo raccontati barzellette e avevamo cantato. Ogni tanto osservavamo la signora Salici e il signor Holm per non perderci qualche eventuale vibrazione. Arrivati al Blautopf la signora Salici naturalmente era estasiata, Susanne sosteneva che avrebbe trovato esaltante pure un mucchio di letame, tanto era cotta.
Poi, è successo.
Tom si è alzato sul tronco e mentre saltellava da una vescica all’altra, inavvertitamente ha urtato lo zaino, che ha fatto splash ed è finito nel laghetto.
Con Agata dentro.
Christiana ha lanciato un grido.
Tom si è messo a frignare, Agata annega, lui non sapeva nuotare e nemmeno Agata, perché era una tartaruga di terra.
La maestra ha domandato, quale tartaruga?
Poi c’è stato un secondo splash, Bernard si era tuffato al salvataggio dello zaino. Il terzo splash era di Susanne, lanciata dietro Bernard. Il quarto della signora Salici, per seguire i suoi due alunni.
Ci siamo messi tutti a strillare come pazzi, correndo sulla riva. Era uno spettacolo vedere loro tre nuotare in mezzo al laghetto.
Bernard aveva recuperato lo zaino e lo teneva alto sopra la testa, Susanne aveva afferrato Bernard con una vera presa da salvataggio e lo trascinava a riva. Richard li ha aiutati a uscire dall’acqua. La maestra avrebbe anche potuto rimanere là, tanto l’acqua le arrivava solo fino al seno.
Quando tutti ormai erano usciti dall’acqua, il signor Holm è arrivato di corsa.
La signora Salici si è gettata tra le sue braccia, come in un film d’amore, spruzzando gocce d’acqua in tutte le direzioni. Poi il signor Holm l’ha baciata sul serio, mentre diceva Giovanna, amore mio, mia amata!
Tom ha tirato fuori dallo zaino Agata, che si era solo un po’ bagnata, se l’è messa davanti al viso e le ha sussurrato Agata, mio unico grande amore, poi l’ha baciata sul guscio.
Tutti si sono sbellicati dal ridere. Grazie al cielo la maestra e il signor Holm non si sono arrabbiati con Tom per via di Agata. La cuoca dell’ostello ha preparato un piattino di insalata verde apposta per lei.
Dopo cena ho portato Agata in camera. Le ho accarezzato il guscio e lei ha agitato le zampette. Mi sono affacciato alla finestra e sul prato di sotto ho visto Bernard seduto accanto a Susanne, che si tenevano per mano. Quando lei gli ha dato un bacio sulla guancia, ho capito perché quel pomeriggio si era tuffata dietro a lui.
L’aria era piena di vibrazioni.
(Tratto e adattato da: Steinhöfel A., traduzione di Petrelli A., Dirk e io, BEISLER editore, 2017, Roma)
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A8. Che cosa ci dice il racconto a proposito dell’escursione?
Completa la sintesi che segue, inserendo la parola appropriata in ogni spazio.
Durante l’escursione alcuni ragazzi non si accorgono di quanto camminano perché cantano e scherzano. All’arrivo, dopo esattamente cinque ore di strada,
Tom si siede perché è affaticato e i piedi gli fanno male; posa vicino a sé lo zaino con la ………………………………………………..(3) dentro.
La signora Salici trova straordinario il lago, mentre ai ragazzi non sembra niente di speciale.
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3. tartaruga
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altro
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IL GRAN VIAGGIO DI AGATA
Faceva un caldo micidiale e sul binario regnava il caos.
Bambini esaltati correvano da tutte le parti e la mamma mi salutava piangendo come se non dovesse vedermi più per molti anni. In realtà la gita di classe sarebbe durata solo una settimana. Una settimana a Ulm con la maestra, la signora Salici, e il signor Holm, il professore di educazione fisica. Ulm era una città da qualche parte in basso a sinistra…
Finalmente è arrivato il treno.
Io volevo assolutamente mettermi nello scompartimento con Richard, Bernard e Tom, Susanne e Christiana.
Era tutto un gran spintonare e sgomitare. Tom avanzava a fatica dal fondo dello stretto corridoio, aveva una pancia più sporgente del solito. Bernard gli stava dietro. Io e Richard arrivavamo dalla parte opposta, Susanne e Christiana si erano piantate davanti a uno scompartimento vuoto e tenevano i posti.
Abbiamo buttato dentro gli zaini e ci siamo affacciati al finestrino a salutare i nostri genitori. Il capostazione ha fischiato e il treno è partito, poi ha fatto una curva e sono spariti tutti.
Lo scompartimento era davvero super. Abbiamo tirato in avanti i sedili formando un unico grande letto e ci siamo messi comodi, ma quando Christiana ha posato lo sguardo sulla pancia di Tom ha lanciato un urlo.
La pancia di Tom si muoveva, qualcosa si spostava sotto la sua camicia.
Tom ha alzato la stoffa. Sulla pancia cicciottella di Tom una tartarughina si muoveva sulle sue buffe zampette. Questa è Agata ha detto Tom.
Il patatrac è successo il quarto giorno.
Cari bambini, ha iniziato la maestra, oggi andremo a fare un’escursione in montagna, al Blautopf, un laghetto molto lontano dall’ostello, con un’acqua tutta blu.
Christiana ha domandato quanto fosse lontano, e il professor Holm ha risposto beh, c’è da fare una camminata di quindici chilometri.
La signora Salici ha sorriso al professore, che l’ha ricambiata con i suoi dentoni bianchi da sportivo.
Quindici chilometri, ha pigolato Susanne.
Andata e ritorno sono trenta, ha infierito Christiana.
Quei due sono pazzi, ha bisbigliato Richard.
Non sono pazzi nemmeno un po’, ha commentato Susanne, sono cotti e siamo fortunati che non ci facciano camminare per cento chilometri, perché agli innamorati non importa niente di niente.
Bernard ha chiesto a Susanne come faceva a sapere che erano innamorati.
Susanne lo ha guardato come se fosse la persona più stupida del mondo. Le donne certe cose le sentono, ha bisbigliato. Quando due persone sono innamorate, c’è una vibrazione speciale nell’aria.
Io non avverto nessuna vibrazione, ha confidato Bernard a Susanne.
Aspetta e vedrai.
Cinque ore più tardi Tom era seduto su un tronco d’albero in riva a quello stupido laghetto, che non era per niente azzurro, e piagnucolava che aveva le vesciche ai piedi. Aveva posato accanto a sé lo zaino con dentro Agata. Era rosso per la fatica e sudava da matti.
A me la camminata era piaciuta. C’eravamo raccontati barzellette e avevamo cantato. Ogni tanto osservavamo la signora Salici e il signor Holm per non perderci qualche eventuale vibrazione. Arrivati al Blautopf la signora Salici naturalmente era estasiata, Susanne sosteneva che avrebbe trovato esaltante pure un mucchio di letame, tanto era cotta.
Poi, è successo.
Tom si è alzato sul tronco e mentre saltellava da una vescica all’altra, inavvertitamente ha urtato lo zaino, che ha fatto splash ed è finito nel laghetto.
Con Agata dentro.
Christiana ha lanciato un grido.
Tom si è messo a frignare, Agata annega, lui non sapeva nuotare e nemmeno Agata, perché era una tartaruga di terra.
La maestra ha domandato, quale tartaruga?
Poi c’è stato un secondo splash, Bernard si era tuffato al salvataggio dello zaino. Il terzo splash era di Susanne, lanciata dietro Bernard. Il quarto della signora Salici, per seguire i suoi due alunni.
Ci siamo messi tutti a strillare come pazzi, correndo sulla riva. Era uno spettacolo vedere loro tre nuotare in mezzo al laghetto.
Bernard aveva recuperato lo zaino e lo teneva alto sopra la testa, Susanne aveva afferrato Bernard con una vera presa da salvataggio e lo trascinava a riva. Richard li ha aiutati a uscire dall’acqua. La maestra avrebbe anche potuto rimanere là, tanto l’acqua le arrivava solo fino al seno.
Quando tutti ormai erano usciti dall’acqua, il signor Holm è arrivato di corsa.
La signora Salici si è gettata tra le sue braccia, come in un film d’amore, spruzzando gocce d’acqua in tutte le direzioni. Poi il signor Holm l’ha baciata sul serio, mentre diceva Giovanna, amore mio, mia amata!
Tom ha tirato fuori dallo zaino Agata, che si era solo un po’ bagnata, se l’è messa davanti al viso e le ha sussurrato Agata, mio unico grande amore, poi l’ha baciata sul guscio.
Tutti si sono sbellicati dal ridere. Grazie al cielo la maestra e il signor Holm non si sono arrabbiati con Tom per via di Agata. La cuoca dell’ostello ha preparato un piattino di insalata verde apposta per lei.
Dopo cena ho portato Agata in camera. Le ho accarezzato il guscio e lei ha agitato le zampette. Mi sono affacciato alla finestra e sul prato di sotto ho visto Bernard seduto accanto a Susanne, che si tenevano per mano. Quando lei gli ha dato un bacio sulla guancia, ho capito perché quel pomeriggio si era tuffata dietro a lui.
L’aria era piena di vibrazioni.
(Tratto e adattato da: Steinhöfel A., traduzione di Petrelli A., Dirk e io, BEISLER editore, 2017, Roma)
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A8. Che cosa ci dice il racconto a proposito dell’escursione?
Completa la sintesi che segue, inserendo la parola appropriata in ogni spazio.
Durante l’escursione alcuni ragazzi non si accorgono di quanto camminano perché cantano e scherzano.
All’arrivo, dopo esattamente cinque ore di strada, Tom si siede perché è affaticato e i piedi gli fanno male; posa vicino a sé lo zaino con la tartaruga dentro.
La signora Salici trova straordinario il lago, mentre ai ....................................... non sembra niente di speciale.
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4. ragazzi
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altro
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Il primo giorno del mese di aprile ne succedono davvero di tutti i colori: può comparire il sale nella zuccheriera o potreste trovare delle monete sul pavimento… ma è impossibile raccoglierle perché sono incollate…
v 1 ………
Ma come è nata questa curiosa tradizione? Per capire come è nata la tradizione di fare gli scherzi nel primo giorno di aprile dobbiamo tornare indietro con la macchina del tempo di almeno cinque secoli e spostarci in Francia. Fu qui che, intorno alla fine de l XVI secolo, si contestò la decisione di papa Gregorio XIII il quale aveva cambiato il calendario, adottandone uno nuovo. Il calendario precedente prevedeva che il nuovo anno venisse festeggiato tra il 25 marzo e il 1° aprile, giorno, quest’ultimo, dedicato a banchetti, brindisi e scambi di doni. Con l’avvento del nuovo calendario, il Capodanno fu spostato al primo di gennaio. Come spesso succede davanti alle novità, non tutti accolsero la notizia con entusiasmo e negli anni successivi c’era ancora chi si ostinava a festeggi are Capodanno il 1° aprile. Fu così che nacque il “pesce d’aprile”: le “teste dure” diventarono bersaglio di burle e scherzi bonari e furono additati da tutti come sciocchi di aprile.
La tradizione dalla Francia si diffuse in tutti i Paesi in cui fu adottato il nuovo calendario, chiamato “gregoriano”.
v 2 ………
Che cosa c’entrano i pesci? Anche per questo c’è una spiegazione ed è che i pesci abboccano facilmente all’amo, come le vittime delle burle “abboccano” all’inganno. Va detto però che, a volte, è veramente difficile non cascarci, anche perché la fantasia non ha limiti e gli scherzi nemmeno... possono passare dalle aule di scuola ai parco-giochi, dalla televisione ai siti web. Due anni fa, per esempio, un sito di notizie sul calcio riferì che un famosissimo giocatore dell’FC Barcelona aveva acce ttato un contratto da 500 milioni di euro per passare al Real Madrid, la squadra rivale, per cinque anni.
Nessuno fece caso al fatto che l’articolo era firmato “Lirpa Loof” (Fool April, pesce d’aprile in inglese, scritto al contra rio) e tra i tifosi si scatenò il panico.
Qualche anno prima, invece, Patrick Moore, famoso astronomo e conduttore radiofonico inglese, annunciò che un eccezionale allineamento di Plutone e Giove, previsto per le 9 e 47 della mattina del primo aprile, avrebbe annullato gli effetti della gravità terrestre e tu tti gli abitanti del pianeta avrebbero iniziato a fluttuare come gli astronauti nello spazio! Alcuni anni fa un sito inglese presentò la corsa dei cavallucci marini e una compagnia aerea pubblicizzò un aereo che sbatte le ali… Tutto falso!!! Nel 2008 un presentatore della tv inglese BBC2 mostrò un video su una nuova specie di pinguini: i pinguini volanti! Gli animali, dopo una corsa sul ghiaccio, prendevano il volo e si alzavano in cielo ad ali spiegate. Il filmato lasciò tutti a bocca aperta: mai nessuno prima di allora aveva visto i pinguini volare. E non a caso! Il video infatti era una bufala per il primo di aprile. Nei giorni successivi, in un altro video, spiegarono il trucco: i pinguini volanti non erano veri, ma disegnati copiando quelli di alcune riprese girate in precedenza. In altre parole la corsa dei pinguini era vera ma il volo era stato aggiunto in seguito.
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B3. In base alle informazioni date nel primo paragrafo, qual è il nome del nuovo calendario e perché è stato chiamato così?
Completa la frase che segue, inserendo in ogni spazio la parola mancante.
Il nuovo calendario è stato chiamato ………………………………………(1) perché fu proposto da un Papa che si chiamava Gregorio XIII.
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1. Gregoriano
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2023_05_SNV_B
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altro
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Il primo giorno del mese di aprile ne succedono davvero di tutti i colori: può comparire il sale nella zuccheriera o potreste trovare delle monete sul pavimento… ma è impossibile raccoglierle perché sono incollate…
v 1 ………
Ma come è nata questa curiosa tradizione? Per capire come è nata la tradizione di fare gli scherzi nel primo giorno di aprile dobbiamo tornare indietro con la macchina del tempo di almeno cinque secoli e spostarci in Francia. Fu qui che, intorno alla fine de l XVI secolo, si contestò la decisione di papa Gregorio XIII il quale aveva cambiato il calendario, adottandone uno nuovo. Il calendario precedente prevedeva che il nuovo anno venisse festeggiato tra il 25 marzo e il 1° aprile, giorno, quest’ultimo, dedicato a banchetti, brindisi e scambi di doni. Con l’avvento del nuovo calendario, il Capodanno fu spostato al primo di gennaio. Come spesso succede davanti alle novità, non tutti accolsero la notizia con entusiasmo e negli anni successivi c’era ancora chi si ostinava a festeggi are Capodanno il 1° aprile. Fu così che nacque il “pesce d’aprile”: le “teste dure” diventarono bersaglio di burle e scherzi bonari e furono additati da tutti come sciocchi di aprile.
La tradizione dalla Francia si diffuse in tutti i Paesi in cui fu adottato il nuovo calendario, chiamato “gregoriano”.
v 2 ………
Che cosa c’entrano i pesci? Anche per questo c’è una spiegazione ed è che i pesci abboccano facilmente all’amo, come le vittime delle burle “abboccano” all’inganno. Va detto però che, a volte, è veramente difficile non cascarci, anche perché la fantasia non ha limiti e gli scherzi nemmeno... possono passare dalle aule di scuola ai parco-giochi, dalla televisione ai siti web. Due anni fa, per esempio, un sito di notizie sul calcio riferì che un famosissimo giocatore dell’FC Barcelona aveva acce ttato un contratto da 500 milioni di euro per passare al Real Madrid, la squadra rivale, per cinque anni.
Nessuno fece caso al fatto che l’articolo era firmato “Lirpa Loof” (Fool April, pesce d’aprile in inglese, scritto al contra rio) e tra i tifosi si scatenò il panico.
Qualche anno prima, invece, Patrick Moore, famoso astronomo e conduttore radiofonico inglese, annunciò che un eccezionale allineamento di Plutone e Giove, previsto per le 9 e 47 della mattina del primo aprile, avrebbe annullato gli effetti della gravità terrestre e tu tti gli abitanti del pianeta avrebbero iniziato a fluttuare come gli astronauti nello spazio! Alcuni anni fa un sito inglese presentò la corsa dei cavallucci marini e una compagnia aerea pubblicizzò un aereo che sbatte le ali… Tutto falso!!! Nel 2008 un presentatore della tv inglese BBC2 mostrò un video su una nuova specie di pinguini: i pinguini volanti! Gli animali, dopo una corsa sul ghiaccio, prendevano il volo e si alzavano in cielo ad ali spiegate. Il filmato lasciò tutti a bocca aperta: mai nessuno prima di allora aveva visto i pinguini volare. E non a caso! Il video infatti era una bufala per il primo di aprile. Nei giorni successivi, in un altro video, spiegarono il trucco: i pinguini volanti non erano veri, ma disegnati copiando quelli di alcune riprese girate in precedenza. In altre parole la corsa dei pinguini era vera ma il volo era stato aggiunto in seguito.
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B3. In base alle informazioni date nel primo paragrafo, qual è il nome del nuovo calendario e perché è stato chiamato così?
Completa la frase che segue, inserendo in ogni spazio la parola mancante.
Il nuovo calendario è stato chiamato Gregoriano perché fu proposto da un ……………………………………… che si chiamava Gregorio XIII.
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2. Papa
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altro
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Il primo giorno del mese di aprile ne succedono davvero di tutti i colori: può comparire il sale nella zuccheriera o potreste trovare delle monete sul pavimento… ma è impossibile raccoglierle perché sono incollate…
v 1 ………
Ma come è nata questa curiosa tradizione? Per capire come è nata la tradizione di fare gli scherzi nel primo giorno di aprile dobbiamo tornare indietro con la macchina del tempo di almeno cinque secoli e spostarci in Francia. Fu qui che, intorno alla fine de l XVI secolo, si contestò la decisione di papa Gregorio XIII il quale aveva cambiato il calendario, adottandone uno nuovo. Il calendario precedente prevedeva che il nuovo anno venisse festeggiato tra il 25 marzo e il 1° aprile, giorno, quest’ultimo, dedicato a banchetti, brindisi e scambi di doni. Con l’avvento del nuovo calendario, il Capodanno fu spostato al primo di gennaio. Come spesso succede davanti alle novità, non tutti accolsero la notizia con entusiasmo e negli anni successivi c’era ancora chi si ostinava a festeggi are Capodanno il 1° aprile. Fu così che nacque il “pesce d’aprile”: le “teste dure” diventarono bersaglio di burle e scherzi bonari e furono additati da tutti come sciocchi di aprile.
La tradizione dalla Francia si diffuse in tutti i Paesi in cui fu adottato il nuovo calendario, chiamato “gregoriano”.
v 2 ………
Che cosa c’entrano i pesci? Anche per questo c’è una spiegazione ed è che i pesci abboccano facilmente all’amo, come le vittime delle burle “abboccano” all’inganno. Va detto però che, a volte, è veramente difficile non cascarci, anche perché la fantasia non ha limiti e gli scherzi nemmeno... possono passare dalle aule di scuola ai parco-giochi, dalla televisione ai siti web. Due anni fa, per esempio, un sito di notizie sul calcio riferì che un famosissimo giocatore dell’FC Barcelona aveva acce ttato un contratto da 500 milioni di euro per passare al Real Madrid, la squadra rivale, per cinque anni.
Nessuno fece caso al fatto che l’articolo era firmato “Lirpa Loof” (Fool April, pesce d’aprile in inglese, scritto al contra rio) e tra i tifosi si scatenò il panico.
Qualche anno prima, invece, Patrick Moore, famoso astronomo e conduttore radiofonico inglese, annunciò che un eccezionale allineamento di Plutone e Giove, previsto per le 9 e 47 della mattina del primo aprile, avrebbe annullato gli effetti della gravità terrestre e tu tti gli abitanti del pianeta avrebbero iniziato a fluttuare come gli astronauti nello spazio! Alcuni anni fa un sito inglese presentò la corsa dei cavallucci marini e una compagnia aerea pubblicizzò un aereo che sbatte le ali… Tutto falso!!! Nel 2008 un presentatore della tv inglese BBC2 mostrò un video su una nuova specie di pinguini: i pinguini volanti! Gli animali, dopo una corsa sul ghiaccio, prendevano il volo e si alzavano in cielo ad ali spiegate. Il filmato lasciò tutti a bocca aperta: mai nessuno prima di allora aveva visto i pinguini volare. E non a caso! Il video infatti era una bufala per il primo di aprile. Nei giorni successivi, in un altro video, spiegarono il trucco: i pinguini volanti non erano veri, ma disegnati copiando quelli di alcune riprese girate in precedenza. In altre parole la corsa dei pinguini era vera ma il volo era stato aggiunto in seguito.
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B3. In base alle informazioni date nel primo paragrafo, qual è il nome del nuovo calendario e perché è stato chiamato così?
Completa la frase che segue, inserendo in ogni spazio la parola mancante.
Il nuovo calendario è stato chiamato Gregoriano perché fu proposto da un Papa che si chiamava ……………………………………….
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3. Gregorio XIII
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altro
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POLIPETTO HA UN PROBLEMA!
Polipetto viveva in una graziosa casetta nel mare blu. Dalla finestra poteva ammirare un panorama meraviglioso e pescare tutto il cibo che voleva.
Una mattina però, di ritorno dalla sua nuotata
quotidiana, Polipetto trovò una grossa coda che
bloccava l'ingresso della sua casetta. “Oh no!”
esclamò. “Che coda enorme!”
E, impaurito, nuotò via. Doveva assolutamente parlarne con un amico.
Paguro lo ascoltò e sospirò: “Bene, bene, un intruso. Che t'importa: trasferisciti da un’altra parte. Il mare è pieno di opportunità.”
Polipetto scosse la testa: non gli sembrava un buon consiglio...
Le Meduse — che avevano sentito tutto — gli suggerirono: “C'è solo una cosa da fare: sbarazzarsi dell’intruso. Caccialo fuori!”
Polipetto pensò all'enorme coda: no, non era affatto una buona idea.
Quindi, nuotò via per chiedere consiglio a Balena. Enorme com'era avrebbe avuto certamente una grande idea. Ma Balena non fu per nulla d'aiuto. Non aveva una casa e, per di più, non ne aveva alcun bisogno. La sua casa era il mare e di queste faccende non si preoccupava affatto.
Polipetto scappò via.
Proprio allora s'imbatté in Pesce Scorpione.
“Che cosa vuoi?” ringhiò Pesce Scorpione, mostrando i suoi aculei per impressionare Polipetto.
“Niente, signore,” bisbigliò Polipetto. “Ma c’è un intruso, uno sconosciuto che ha occupato la mia casetta senza chiedere niente, e non so proprio...”
“Liberatene...” disse Pesce Scorpione fissando Polipetto
“...mangiandotelo!”
Polipetto deglutì forte, annuì e nuotò via più veloce che poté.
Ormai, tutti gli animali marini sapevano del suo problema e tutti gli consigliavano una soluzione diversa.
“Pungilo,” disse Pesce Ago.
“Sono d’accordo,” disse Pesce Riccio.
“Oooh ...” gemette Polipetto. Cominciò ad avere la nausea: così tanti pesci e tante soluzioni gli avevano fatto venire il mal di mare.
I pesci parlavano tutti insieme.
“E tu, come pensi di risolvere il problema?” sussurrò, infine, il grande Oceano a Polipetto.
“Cosa farai?”
“Io?”
“Sì, cosa farai?”
“Potrei andare dalla coda... e chiederle gentilmente, ma molto gentilmente, di andarsene...”
E così Polipetto tornò pian piano alla sua casetta. Là, picchiettò con prudenza sulla coda.
“Mio caro signore,” disse gentilmente, “vorreste essere così cortese da...” “Aiuto!” singhiozzò una vocina.
“Per favore, tiratemi fuori di qui! Sono incastrata da così tanto tempo!”
Una coda così grande e una vocina così sottile! Con tutti i suoi otto tentacoli, Polipetto afferrò la coda e tirò più forte che poté.
“AIUTO!” gridò. “Qualcuno ci aiuti!”
E tutti gli altri pesci corsero ad aiutarlo.
“Oh,” arrossì Polipetto. “Se solo avessi saputo che eri una sirena...
Questo cambia tutto!”
(Testo tratto e adattato da: E. van Lieshout, E. van Os, illustrazioni di M. van Hout, Polipetto ha un problema, Il Castello, Milano, 2010)
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A13. Dopo avere letto tutto il racconto scopriamo chi è “l’intruso” in questa storia. Chi è?
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sirena
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2023_02_SNV_A
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domanda aperta
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Testo B
IL LIBRO PIÙ BELLO DEL MONDO
Era la sera dell’open day. Alec si trascinava da un’aula all’altra, si sedeva, si alzava, rispondeva se gli rivolgevano la parola, sorrideva qua e là.
Ma non sentiva quasi niente, non si rendeva conto di niente se non di quanto era arida la sua bocca e di quante volte doveva deglutire. E più si avvicinavano le otto, peggio si sentiva.
La preside fece un annuncio all’altoparlante: «Vi invitiamo a recarvi in palestra per una breve presentazione del Programma di Attività Pomeridiane». Alec notò con piacere che molti genitori e molti ragazzi andavano verso l’uscita.
Ciò nonostante, il corridoio che portava in palestra era affollatissimo. Alle otto e un quarto la Preside fece un breve discorso di benvenuto.
Poi disse: «E ora ogni gruppo dirà qualcosa su come passa il pomeriggio». Alec si avvicinò al tavolo del suo gruppo, il “Club dei perdenti”, che sarebbe stato l’ultimo a fare la presentazione; si asciugò le mani sui pantaloni, ma quelle continuavano a sudare.
I ragazzi del gruppo degli scacchi parlarono a turno delle mosse che avevano imparato, una delle ragazze del Club dell’origami raccontò un po’ di storia dell’origami.
Alec deglutì più volte. Da un momento all’altro sarebbe arrivato il suo turno. Un ragazzo e una ragazza del Club di robotica illustrarono i diversi tipi di circuiti elettronici che avevano usato.
I ragazzi del Lego mostrarono un castello che avevano progettato e costruito. Il Club di cinese aveva organizzato una piccola recita. Tutti ricevettero applausi. Alec si ritrovò a sperare in un terremoto, o in un allarme antincendio, qualunque cosa pur di non alzarsi e parlare davanti a tutta quella gente.
Ma non poté fare altro. A un suo cenno, fu tirato fuori un carrello da uno dei ripostigli e fu portato accanto al tavolo. La palestra rimase in silenzio mentre Alec prendeva dal carrello diciotto scatole di plastica, ciascuna con il suo coperchio. Su ciascuna scatola era scritto il nome di uno dei membri del suo club e Alec le dispose davanti ai legittimi proprietari: nessuno dei membri del club sapeva che cosa stava per fare.
Alec cercò di sorridere, ma era talmente nervoso che gli venne fuori un ghigno da scimpanzé. Si mise davanti al tavolo e si rivolse alla folla. «Mi chiamo Alec Spencer e... il nostro gruppo ha diciotto membri e si chiama Club dei perdenti». Quando lo disse, una risatina imbarazzata echeggiò tra la folla.
«Voglio dire qualcosa a proposito del nome del club, ma prima invito ogni membro ad aprire la scatola che ha davanti, a prendere il primo foglio in cima alla pila e a correre in quella direzione, così!».
Alec tolse il coperchio alla sua scatola. Dentro sembrava che ci fosse una risma di carta, ma in realtà ogni foglio era attaccato al successivo per il margine, con il nastro adesivo, come una lunga fisarmonica.
E quando Alec prese il primo foglio e partì di corsa verso l’angolo opposto della palestra, la striscia di carta lo seguì dispiegandosi come la coda di un drago cinese. Era questa la grande idea che gli era venuta il lunedì precedente.
Voleva mostrare a tutti cosa facevano i cosiddetti perdenti durante il pomeriggio. Aveva chiesto ai membri del club di spedirgli per e-mail un elenco di tu i libri che avevano letto e aveva poi stampato tu琀e le copertine.
La fisarmonica di copertine di Alec era talmente lunga che dovete girare a destra e con琀nuare a tirare i fogli dalla scatola.
Gli altri ragazzi del club scoppiarono a ridere e lo imitarono, tirando fuori i loro fiumi di coper琀ne e attraversando la palestra di corsa.
Diciotto lunghissime strisce di carta che partivano dall’angolo della palestra: sembrava l’immagine satellitare dell’enorme delta di un fiume.
Quando tu i ragazzi si fermarono, gli altri alunni e i genitori si avvicinarono per vedere di cosa si trattava. Tu si misero a parlare, indicando qua e là titoli che ricordavano di aver letto, libri che avevano amato.
Alec parlò con voce forte e chiara, una voce che non aveva mai avuto prima. «Potrei riavere la vostra a琀enzione per un minuto?» Tu tacquero e lui continuò: «Quelli che state vedendo sono tu i libri che ognuno di noi ha letto finora nel corso della sua vita. È questo che 60 facciamo nel Club dei perdenti: leggiamo.
Nella biblioteca della scuola c’è un vecchio poster che dice “Perdetevi in un libro”. È quello che facciamo noi. Ci perdiamo nei libri per ore e ore... Libri su persone e posti diversi.
Quando torniamo, portiamo con noi un sacco di roba interessante perché i libri fanno proprio questo: ci fanno perdere un po’ di ignoranza e un po’ di paura.
E perdere la paura significa anche perdere un po’ di rabbia... Perciò eccoci. Siamo il Club dei perdenti».
Gli applausi furono così fragorosi che Alec si senti in imbarazzo. Come faceva sempre, una parte della sua mente, cercò di trovare una scena di un libro che descrivesse quel momento pieno di gioia, di intensità, di vita.
Ma gli venne in mente un solo pensiero: questo è meglio del più bel libro che abbia mai le琀o! E aveva ragione.
(Tratto e adattato da: Clements A., Il club dei perdenti, ne Il libro più bello del mondo, Rizzoli,2018)
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A9. In base al testo, da che cosa il gruppo di Alec ha preso l’idea del nome “Club dei perdenti”?
L’idea del nome è stata presa da .................................................................
…………………………………………………………………………………………………………………
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poster
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2022_05_SNV_A
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domanda aperta
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Testo B
IL LIBRO PIÙ BELLO DEL MONDO
Era la sera dell’open day. Alec si trascinava da un’aula all’altra, si sedeva, si alzava, rispondeva se gli rivolgevano la parola, sorrideva qua e là.
Ma non sentiva quasi niente, non si rendeva conto di niente se non di quanto era arida la sua bocca e di quante volte doveva deglutire. E più si avvicinavano le otto, peggio si sentiva.
La preside fece un annuncio all’altoparlante: «Vi invitiamo a recarvi in palestra per una breve presentazione del Programma di Attività Pomeridiane». Alec notò con piacere che molti genitori e molti ragazzi andavano verso l’uscita.
Ciò nonostante, il corridoio che portava in palestra era affollatissimo. Alle otto e un quarto la Preside fece un breve discorso di benvenuto.
Poi disse: «E ora ogni gruppo dirà qualcosa su come passa il pomeriggio». Alec si avvicinò al tavolo del suo gruppo, il “Club dei perdenti”, che sarebbe stato l’ultimo a fare la presentazione; si asciugò le mani sui pantaloni, ma quelle continuavano a sudare.
I ragazzi del gruppo degli scacchi parlarono a turno delle mosse che avevano imparato, una delle ragazze del Club dell’origami raccontò un po’ di storia dell’origami.
Alec deglutì più volte. Da un momento all’altro sarebbe arrivato il suo turno. Un ragazzo e una ragazza del Club di robotica illustrarono i diversi tipi di circuiti elettronici che avevano usato.
I ragazzi del Lego mostrarono un castello che avevano progettato e costruito. Il Club di cinese aveva organizzato una piccola recita. Tutti ricevettero applausi. Alec si ritrovò a sperare in un terremoto, o in un allarme antincendio, qualunque cosa pur di non alzarsi e parlare davanti a tutta quella gente.
Ma non poté fare altro. A un suo cenno, fu tirato fuori un carrello da uno dei ripostigli e fu portato accanto al tavolo. La palestra rimase in silenzio mentre Alec prendeva dal carrello diciotto scatole di plastica, ciascuna con il suo coperchio. Su ciascuna scatola era scritto il nome di uno dei membri del suo club e Alec le dispose davanti ai legittimi proprietari: nessuno dei membri del club sapeva che cosa stava per fare.
Alec cercò di sorridere, ma era talmente nervoso che gli venne fuori un ghigno da scimpanzé. Si mise davanti al tavolo e si rivolse alla folla. «Mi chiamo Alec Spencer e... il nostro gruppo ha diciotto membri e si chiama Club dei perdenti». Quando lo disse, una risatina imbarazzata echeggiò tra la folla.
«Voglio dire qualcosa a proposito del nome del club, ma prima invito ogni membro ad aprire la scatola che ha davanti, a prendere il primo foglio in cima alla pila e a correre in quella direzione, così!».
Alec tolse il coperchio alla sua scatola. Dentro sembrava che ci fosse una risma di carta, ma in realtà ogni foglio era attaccato al successivo per il margine, con il nastro adesivo, come una lunga fisarmonica.
E quando Alec prese il primo foglio e partì di corsa verso l’angolo opposto della palestra, la striscia di carta lo seguì dispiegandosi come la coda di un drago cinese. Era questa la grande idea che gli era venuta il lunedì precedente.
Voleva mostrare a tutti cosa facevano i cosiddetti perdenti durante il pomeriggio. Aveva chiesto ai membri del club di spedirgli per e-mail un elenco di tu i libri che avevano letto e aveva poi stampato tu琀e le copertine.
La fisarmonica di copertine di Alec era talmente lunga che dovete girare a destra e con琀nuare a tirare i fogli dalla scatola.
Gli altri ragazzi del club scoppiarono a ridere e lo imitarono, tirando fuori i loro fiumi di coper琀ne e attraversando la palestra di corsa.
Diciotto lunghissime strisce di carta che partivano dall’angolo della palestra: sembrava l’immagine satellitare dell’enorme delta di un fiume.
Quando tu i ragazzi si fermarono, gli altri alunni e i genitori si avvicinarono per vedere di cosa si trattava. Tu si misero a parlare, indicando qua e là titoli che ricordavano di aver letto, libri che avevano amato.
Alec parlò con voce forte e chiara, una voce che non aveva mai avuto prima. «Potrei riavere la vostra a琀enzione per un minuto?» Tu tacquero e lui continuò: «Quelli che state vedendo sono tu i libri che ognuno di noi ha letto finora nel corso della sua vita. È questo che 60 facciamo nel Club dei perdenti: leggiamo.
Nella biblioteca della scuola c’è un vecchio poster che dice “Perdetevi in un libro”. È quello che facciamo noi. Ci perdiamo nei libri per ore e ore... Libri su persone e posti diversi.
Quando torniamo, portiamo con noi un sacco di roba interessante perché i libri fanno proprio questo: ci fanno perdere un po’ di ignoranza e un po’ di paura.
E perdere la paura significa anche perdere un po’ di rabbia... Perciò eccoci. Siamo il Club dei perdenti».
Gli applausi furono così fragorosi che Alec si senti in imbarazzo. Come faceva sempre, una parte della sua mente, cercò di trovare una scena di un libro che descrivesse quel momento pieno di gioia, di intensità, di vita.
Ma gli venne in mente un solo pensiero: questo è meglio del più bel libro che abbia mai le琀o! E aveva ragione.
(Tratto e adattato da: Clements A., Il club dei perdenti, ne Il libro più bello del mondo, Rizzoli,2018)
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A4. “Tom avanzava a fatica dal fondo dello stretto corridoio, aveva una pancia più sporgente del solito” (righe 10-11). Cerca e scrivi l’informazione del testo che spiega perché la pancia di Tom e il suo modo di avanzare sono diversi dal solito.
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tartaruga
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2022_05_SNV_A
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domanda aperta
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GISELLA PIPISTRELLA
Parte 1
C'era una volta una pipistrella di nome Gisella, che capiva tutto a rovescio. O almeno questo era quello che i cuccioli degli animali pensavano di lei.
Tutto era cominciato con il suo arrivo. Il Saggio Gufo, che voleva offrirle un regalo di benvenuto, chiese agli animali di scoprire che cosa le sarebbe piaciuto.
— Mi piacerebbe un ombrello per riparare i piedi
dalla pioggia — disse Gisella.
— Gli ombrelli riparano la testa, non i piedi! —
bisbigliò l’elefantino. — Questa pipistrella è
proprio matta!
Tuttavia le regalarono un ombrello nuovo, molto
carino. Gisella disse un’altra cosa assai bizzarra: — Grazie davvero per questo ombrello. Stanno arrivando dei terribili nuvoloni nel cielo, qui sotto.
— Sciocca di una pipistrella! — ridacchiò la piccola giraffa — il cielo è sopra, non sotto.
Fu allora che Gisella disse un’altra cosa strampalata: — Se dovesse piovere tanto, il fiume si gonfierà e le mie orecchie si bagneranno.
— Il fiume semmai bagnerebbe le nostre zampe e non le nostre orecchie! — ruggi il leoncino.
Parte 2
Ormai tutti gli animali pensavano che Gisella fosse completamente matta e corsero a parlare con il Saggio Gufo.
— È matta, dice cose troppo strane! — disse il piccolo elefante. — Può essere pericolosa — aggiunse il leoncino — Devi fare qualcosa!
— Perché pensate che Gisella sia matta? — chiese il Gufo.
— Perché vede le cose diverse da noi — disse il giovane rinoceronte.
ITAO2F1 4
Il Gufo si fece pensieroso, poi disse: — Voglio fare a Gisella qualche domanda e poi vi dirò cosa penso.
Così andarono tutti insieme da Gisella. Il Gufo le
chiese: — Come è fatto un albero?
— Facile! — disse subito la pipistrella - Un albero
ha un tronco in cima e le foglie in basso.
Tutti ridacchiarono.
II Gufo continuò: — Come è fatta una montagna?
— Anche questa è semplice! — disse Gisella — Una montagna ha una parte larga sulla cima e una punta in basso.
— Un'ultima domanda — disse il Gufo — e questa volta voglio che rispondano tutti gli animali tranne Gisella.
— Avete mai provato a guardare le cose dal punto di vista di Gisella? — e li fece mettere tutti sottosopra appesi ai rami, proprio come lei.
Videro allora che la punta della montagna, vista
da lì era proprio in basso, l’albero aveva le foglie
sotto e il tronco sopra. In
quel momento iniziò a
piovere, a piovere, a
piovere... gli animali vollero
scendere perché il fiume stava salendo e le loro
orecchie si stavano bagnando... non i loro piedi!
Gisella, allora prestò loro il suo ombrello nuovo
per ripararsi. Tutti gli animali si scusarono con
lei per aver detto che era matta.
FINE
(Testo tratto e adattato da: J. Willis, illustrazioni di T. Ross, Gisella Pipistrella, Milano, Ed. Il castoro, 2007)
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A7. Gisella dice “Mi piacerebbe un ombrello per riparare i piedi dalla pioggia”, ma gli animali si aspettano che la risposta finisca con altre parole. Come si aspettano che finisca la sua risposta?
Completa la frase che segue.
“Mi piacerebbe un ombrello per riparare …………………………….. dalla pioggia.”
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testa
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2022_02_SNV_A
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domanda aperta
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SERENDIPITY: LE INVENZIONI NATE PER CASO
Ti è mai capitato di avere un'illuminazione mentre pensavi ad altro? Allora anche tu sei stato vittima della “serendipità”.
Paragrafo 1.
Un’antica favola persiana narra di tre principi, figli di
Jafer, re di Serendip (antico nome di Ceylon, attuale Sri-
Lanka), che durante il loro viaggio alla scoperta del
mondo scoprono continuamente, per caso e per intuito,
cose che non stavano cercando: piante, animali, pietre
preziose e oggetti sconosciuti.
Dal titolo della favola “Viaggi e avventure dei tre Principi di Serendip”, lo scrittore britannico Horace Walpole, nel
1754, inventò il termine serendipity per indicare una
scoperta fatta per caso mentre si sta cercando
qualcos'altro, come accadde ai tre principi.
II meccanismo di queste scoperte è simile a quello che succede a voi quando vi viene in mente la soluzione a un problema di matematica mentre state pensando a tutt'altro, tipo il compito di italiano o la partita di calcio.
Un celebre esempio di serendipità ce lo dà Cristoforo Colombo: nel 1492 scoprì l'America mentre cercava un passaggio verso occidente per arrivare alle Indie.
Paragrafo 2. PER CASO, MA STUDIATE
Solo dagli anni Trenta del ‘900, però, grazie a Walter B. Cannon, professore di fisiologia della Harvard Medical School, il termine viene associato alle invenzioni nate per caso (o per sbaglio) in campo scientifico. Se oggi cercate sul dizionario la parola “serendipità”, infatti, trovate questa definizione: “capacità di rilevare e interpretare correttamente un fenomeno occorso in modo del tutto casuale durante una ricerca scientifica orientata verso altri campi di indagine”.
Tuttavia il caso non basta per fare scoperte così: lo scienziato francese Louis Pasteur diceva che “nel campo dell’osservazione la casualità favorisce solo le menti preparate”, in grado insomma di notare l’imprevisto e renderlo costruttivo.
DALL’ANTIBIOTICO... AL DOLCE
Oltre al caso, infatti, ci vuole l’intuito,
affina grazie a una solida
preparazione, come quella che avevano
Alexander Fleming e Wilhelm Réntgen,
della
penicillina e dei raggi X (leggi le storie
nei riquadri), scoperte per caso, ma
comunque nel corso di esperimenti
scientifici.
RAGGI X
L'8 novembre del 1895, 120 anni fa, il
fisico tedesco Wilhelm Ròntgen scoprì
per caso l’esistenza dei raggi X, novità
che nel giro di pochi mesi avrebbe
rivoluzionato la medicina: l’anno
successivo nel Regno Unito era già in
funzione il primo dipartimento di
radiologia all’interno di un ospedale e
nel giro di poco tempo i raggi X
cominciarono ad essere usati in tutto
il mondo per ottenere immagini delle
fratture di ossa e di ferite d'arma da
fuoco. Nel 1901 la scoperta fece
vincere a Ròntgen il premio Nobel.
LA PENICILLINA
Qualcuno sostiene che già gli egizi
usassero la penicillina per curare le
infezioni. Peccato che non avessero
scritto la ricetta! Duemila e 500 anni
dopo, nel 1929, il medico scozzese
Alexander Fleming riparò la
dimenticanza. Infatti, si accorse che
su un vetrino di coltura batterica
contaminato dalla muffa, la crescita
dei batteri si era interrotta.
Incuriosito volle approfondire la cosa
e inventò il primo antibiotico, uno dei
mezzi più potenti che abbiamo per
curare le malattie!
Fu invece proprio un caso se il
chimico James Schlatter nel 1965
scoprì un dolcificante: per girare le
pagine di un libro, si leccò il dito
sporco di aspartame, che quel giorno
aveva sintetizzato per fare
esperimenti su un farmaco anti-
ulcera. Assaggiandolo scoprì che era
dolce come lo zucchero, ma ci vollero
quasi 10 anni perché fosse approvato
il suo utilizzo in campo alimentare e
dietetico.
Paragrafo 4. INVENZIONI CREATIVE
A volte la serendipità non viene dall'essere i primi a vedere qualcosa, ma dall'essere il primo a vederlo in un modo nuovo. Come fece Percy Spencer quando notò che le microonde dal magnetron (strumento inventato nel 1921 che generava le microonde del segnale radar) avevano sciolto la barretta di cioccolato nella sua tasca.
Non era stato il primo a notare che le microonde generavano calore, ma è stato l’unico a pensare di utilizzarle per cucinare cibo.
Nella figura del suo brevetto appare la prima cosa che Spencer e i suoi colleghi provarono a cucinare col nuovo forno: il pop-corn.
E come finisce la storia dei principi di Serendip?
A furia di scoprire le cose per caso o per intuito, divennero i più saggi di tutto il regno.
(Tratto e adattato da: www.focusjunior.it; www.ilpost.it)
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B3. Come viene definito il termine serendipity nel Paragrafo 1? Copia le parole usate per spiegare questo termine.
Il termine serendipity indica ......................................................................
....................................................................................................................
....................................................................................................................
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Scoperta fatta per caso mentre si sta cercando qualcos’altro
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2022_05_SNV_B
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domanda aperta
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QUELLA VOLTA CHE IO E ANNA DOVEVAMO SCAPPARE DI CASA
Nelle giornate piovose io e la mia amica Anna stiamo spesso nella stanza di suo nonno a leggergli il giornale. Un giorno di questi Anna ha chiesto: «Nonno, racconta di quando sei scappato di casa».
«Oh povero me» ha risposto il nonno. «L’avete già sentita tante volte, quella storia!».
Ma noi abbiamo insistito e alla fine lui l’ha raccontata.
Dopo Anna ha detto: «Bello scappare, però. Vorrei farlo anch’io».
«Dai, facciamolo!» ho detto io.
«Tu cosa dici, nonno?» ha chiesto Anna. «Secondo te possiamo?»
E il nonno ha risposto che certo, per un pochino potevamo anche scappare di casa.
Allora abbiamo deciso di farlo. Naturalmente doveva succedere di notte e non doveva saperlo nessuno. Abbiamo detto al nonno che doveva mantenere il segreto e lui ha promesso.
Io faccio sempre una gran fatica a restare sveglia la sera e così non capivo proprio come fare per non addormentarmi prima che fosse ora di scappare, ma Anna ha detto: «Tu dormi pure! Possiamo legarti al ditone del piede un filo che lasciamo penzolare giù dalla finestra della tua camera, così quando arrivo io, do uno strattone e ti svegli».
Anna ha anche detto che avrebbe raccolto delle foglie secche da mettersi nel letto, così sarebbe riuscita a restare sveglia finché non si fossero addormentati tutti gli altri, poi ci siamo date appuntamento per quella sera, alle dieci e mezza.
Sono salita in camera mia e mi sono legata
il filo al ditone e l’ho lasciato penzoloni
fuori dalla finestra.
Sono andata a letto e ho pensato che era
meglio dormire subito per non essere
troppo stanca all’ora di scappare. Ho
tentato in tu i modi, ma appena mi
muovevo nel letto sentivo tirare il filo
intorno al ditone.
E poi mi sono messa a pensare a
cos’avrebbe detto la mamma
trovando il letto vuoto. Così ho
cominciato a piangere e ho pianto
per un pezzo.
Mi sono svegliata di soprassalto;
sono andata alla finestra e mi sono accorta che era giorno fatto.
Ho pensato che forse Anna era scappata da sola, allora sono corsa a casa sua e l’ho trovata nel letto. Stava russando. L’ho chiamata e si è svegliata. «Che ore sono?» ha detto.
Quando le ho risposto che erano le otto di mana ha detto: «Quelli che non riescono a dormire di notte dovrebbero provare a mettersi le foglie secche nel letto, perché è incredibile quanto fanno venire sonno».
(Testo tratto e adattato: A. Lindgren, illustrazioni di I. Vang Nyman, Il libro di Bullerby, Milano, Salani Editore, 2018)
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B2. Chi dice «Dai, facciamolo!»?
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Lisa
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2021_02_SNV_B
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domanda aperta
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null |
C9. Leggi la frase che segue:
La mamma ha detto a Margherita: “Metti in ordine tutti i tuoi vestiti”.
Trasforma la frase da discorso diretto a discorso indiretto, completando la frase che segue.
La mamma ha detto a Margherita di ...
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Mettere in ordine tutti i suoi vestiti
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['item_139_0.png']
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2021_05_SNV_C
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domanda aperta
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SCIENZIATI IN CASA
Introduzione
Materia, energia e forza sono indagate dagli scienziati.
Ovunque tu sia, tutto quello che ti circonda è fatto di materia: per esempio quello che indossi, che mangi e anche il tuo stesso corpo e l’aria che respiri.
Tutta la materia è composta di piccolissime particelle, gli atomi, a loro volta fatti di particelle ancora più minuscole.
Tutti gli eventi, dalla scarica di un fulmine all’allacciarsi le scarpe, sono possibili grazie all'energia. Senza energia niente potrebbe succedere: per esempio persone e animali usano energia ricavata dal cibo per camminare e correre, le piante crescono grazie all'energia del sole.
Ogni volta che un oggetto cambia il modo di muoversi, cioè la sua velocità, è in gioco una forza: per esempio c'è bisogno di una forza per metterlo in movimento, o per arrestarlo; occorre una forza anche solo per aumentare o diminuire la sua velocità. Una forza può anche essere responsabile della deformazione o della rottura di qualcosa, e ci sono forze che tengono assieme le cose.
Di seguito troverai alcuni esperimenti per scoprire una proprietà della materia: l’impenetrabilità!. Per fare questi esperimenti ti servono cose e materiali della vita di ogni giorno, facili da trattare e trovare (spesso sono presenti in casa).
Cerca di organizzare un angolo tutto tuo della casa (garage, veranda, camera) dove poter tenere l'attrezzatura e lavorare senza intralci per il resto della famiglia.
Materia
L’impenetrabilità
La parola impenetrabilità indica una proprietà di certi corpi che si manifesta intorno a te in mille modi; significa che due corpi non possono occupare contemporaneamente la stessa regione di spazio: ad esempio lo spazio occupato da un libro sul tavolo non può essere “contemporaneamente” occupato da un altro libro.
Un bicchiere pieno d’aria non può contenere contemporaneamente dell’acqua: se ci versi dentro l’acqua, l’aria deve uscire. Se, con qualche accorgimento, impedisci all'aria di uscire, l’acqua entrerà fino a un certo punto, comprimendo l’aria, ma poi si fermerà. Sperimentalo con un bicchiere, un cartoncino e un grande vaso di vetro pieno a metà di acqua.
* Ritaglia un dischetto di cartoncino largo
quanto il fondo interno del bicchiere, in
modo che aderisca al fondo, senza cadere,
anche a bicchiere capovolto.
* Immergi lentamente il bicchiere capovolto
nel vaso: l’acqua salirà all’interno del
bicchiere per qualche millimetro, ma poi si
fermerà.
* Anche a bicchiere completamente
sommerso e tenuto premuto sul fondo del
vaso, l’acqua rimarrà sempre allo stesso
livello e il cartoncino non si bagnerà.
LE CAMPANE SUBACQUEE
Usate dai primi esploratori sottomarini, funzionavano come il bicchiere rovesciato dell'esperimento, trattenendo l’aria e
consentendo la respirazione dei subacquei. | primi esperimenti risalgono al 1538, in Spagna, ma si dice che Alessandro Magno ne abbia usata una nel 332 a.C.
L’acqua in bottiglia - ESPERIMENTO 2
Dato che aria e acqua non possono occupare contemporaneamente lo stesso spazio, se si versa dell’acqua in una bottiglia, l’aria che è all’interno deve uscire.
Lo vedrai con questa prova, per la quale ti servono una bottiglia a collo piuttosto largo, un piccolo imbuto di plastica, una cannuccia da bibite piegabile, un po’ di plastilina e una candela.
* Infila nella bocca della bottiglia l’imbuto e
la cannuccia da bibite, piegata quasi ad
angolo retto (osserva il disegno). Tappa
ermeticamente con la plastilina tutti i vuoti
all'imboccatura della bottiglia,
* Accendi la candela e sistemala all’altezza
dello sbocco della cannuccia. Ora versa
l’acqua nell’imbuto. Noterai che man
mano che il liquido entra nella bottiglia la
fiamma si piega: l’aria, scacciata
dall'acqua, esce dalla cannuccia e soffia
sulla candela.
(Tratto e adattato da: L. Pizzorni, !/ manuale del giovane scienziato, Milano, Fabbri Editori, 1980)
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B3. Scrivi il significato della parola “impenetrabilità” come viene riportato
nel testo.
.........................................................................................................
.........................................................................................................
|
significa che due corpi non possono occupare contemporaneamente lo stesso spazio
|
['item_172_0.png']
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2019_05_SNV_B
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domanda aperta
| null | null | null |
SCIENZIATI IN CASA
Introduzione
Materia, energia e forza sono indagate dagli scienziati.
Ovunque tu sia, tutto quello che ti circonda è fatto di materia: per esempio quello che indossi, che mangi e anche il tuo stesso corpo e l’aria che respiri.
Tutta la materia è composta di piccolissime particelle, gli atomi, a loro volta fatti di particelle ancora più minuscole.
Tutti gli eventi, dalla scarica di un fulmine all’allacciarsi le scarpe, sono possibili grazie all'energia. Senza energia niente potrebbe succedere: per esempio persone e animali usano energia ricavata dal cibo per camminare e correre, le piante crescono grazie all'energia del sole.
Ogni volta che un oggetto cambia il modo di muoversi, cioè la sua velocità, è in gioco una forza: per esempio c'è bisogno di una forza per metterlo in movimento, o per arrestarlo; occorre una forza anche solo per aumentare o diminuire la sua velocità. Una forza può anche essere responsabile della deformazione o della rottura di qualcosa, e ci sono forze che tengono assieme le cose.
Di seguito troverai alcuni esperimenti per scoprire una proprietà della materia: l’impenetrabilità!. Per fare questi esperimenti ti servono cose e materiali della vita di ogni giorno, facili da trattare e trovare (spesso sono presenti in casa).
Cerca di organizzare un angolo tutto tuo della casa (garage, veranda, camera) dove poter tenere l'attrezzatura e lavorare senza intralci per il resto della famiglia.
Materia
L’impenetrabilità
La parola impenetrabilità indica una proprietà di certi corpi che si manifesta intorno a te in mille modi; significa che due corpi non possono occupare contemporaneamente la stessa regione di spazio: ad esempio lo spazio occupato da un libro sul tavolo non può essere “contemporaneamente” occupato da un altro libro.
Un bicchiere pieno d’aria non può contenere contemporaneamente dell’acqua: se ci versi dentro l’acqua, l’aria deve uscire. Se, con qualche accorgimento, impedisci all'aria di uscire, l’acqua entrerà fino a un certo punto, comprimendo l’aria, ma poi si fermerà. Sperimentalo con un bicchiere, un cartoncino e un grande vaso di vetro pieno a metà di acqua.
* Ritaglia un dischetto di cartoncino largo
quanto il fondo interno del bicchiere, in
modo che aderisca al fondo, senza cadere,
anche a bicchiere capovolto.
* Immergi lentamente il bicchiere capovolto
nel vaso: l’acqua salirà all’interno del
bicchiere per qualche millimetro, ma poi si
fermerà.
* Anche a bicchiere completamente
sommerso e tenuto premuto sul fondo del
vaso, l’acqua rimarrà sempre allo stesso
livello e il cartoncino non si bagnerà.
LE CAMPANE SUBACQUEE
Usate dai primi esploratori sottomarini, funzionavano come il bicchiere rovesciato dell'esperimento, trattenendo l’aria e
consentendo la respirazione dei subacquei. | primi esperimenti risalgono al 1538, in Spagna, ma si dice che Alessandro Magno ne abbia usata una nel 332 a.C.
L’acqua in bottiglia - ESPERIMENTO 2
Dato che aria e acqua non possono occupare contemporaneamente lo stesso spazio, se si versa dell’acqua in una bottiglia, l’aria che è all’interno deve uscire.
Lo vedrai con questa prova, per la quale ti servono una bottiglia a collo piuttosto largo, un piccolo imbuto di plastica, una cannuccia da bibite piegabile, un po’ di plastilina e una candela.
* Infila nella bocca della bottiglia l’imbuto e
la cannuccia da bibite, piegata quasi ad
angolo retto (osserva il disegno). Tappa
ermeticamente con la plastilina tutti i vuoti
all'imboccatura della bottiglia,
* Accendi la candela e sistemala all’altezza
dello sbocco della cannuccia. Ora versa
l’acqua nell’imbuto. Noterai che man
mano che il liquido entra nella bottiglia la
fiamma si piega: l’aria, scacciata
dall'acqua, esce dalla cannuccia e soffia
sulla candela.
(Tratto e adattato da: L. Pizzorni, !/ manuale del giovane scienziato, Milano, Fabbri Editori, 1980)
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B5. Nei due esperimenti del testo, quali sono i due corpi che non possono
stare nello stesso spazio?
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aria, acqua
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2019_05_SNV_B
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domanda aperta
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Il Balordo
Idee politiche il maestro Bordigoni si procurava il piacere di non averne; e se ne aveva, si negava il piacere di manifestarle.
Il fascismo a quei tempi badava solo a crescere e a fortificarsi; più tardi, verso il ’28 o il ’29, diventato esigente, si accorse del Bordigoni. Il maestro Cometta, fiduciario dell’Opera nazionale Balilla, un giorno lo avvicinò e cercò di fargli capire ch e il nuovo clima in cui doveva crescere la gioventù italiana, esigeva dagli insegnanti una partecipazione attiva nel formare anche i più piccoli all’amore e alla devozione verso la patria fascista.
Il Bordigoni ascoltò, ora fissando attraverso le lenti il piccolo Cometta, ora guardandosi intorno con il suo sguardo che non vedeva nulla e sembrava rimandato indietro dalla concavità delle lenti a illuminargli la fronte.
Ascoltò e non rispose.
Dopo qualche mese il Cometta lo condusse dal professor Bistoletti, f iduciario del partito per la classe insegnante, perché l’esortazione si trasformasse in un ordine perentorio. Il Bistoletti se ne lavò le mani e lo rinviò al segretario politico. Il segretario politico, che era alto quanto il Bordigoni ma molto più giovane e magro come un chiodo, quando se lo vide davanti lo prese in simpatia e gli parlò bonariamente, mettendogli le mani sulle spalle e avvicinandolo fino a sfiorargli la pancia.
“Camerata Bordigoni” gli disse “tu sei dei nostri. E lavorerai con noi, non sol o nella scuola, ma anche fuori.
Domenica ti voglio qui in sede. Per me sei già iscritto al Partito”.
Ma il Bordigoni la domenica dopo dimenticò di andare in sede e a scuola non gli venne mai in mente di parlare del fascismo che probabilmente non sapeva nep pure cosa fosse di preciso.
Finirono col dimenticarsi di lui. Il segretario politico si giustificò dicendo che il Bordigoni, in divisa e camicia nera, sarebbe stato ridicolo e avrebbe dato un’idea sbagliata del fascismo che era una cosa dinamica, agile e soprattutto giovane.
In verità sarebbe stato una caricatura; e fu la sua mole a salvarlo dai cortei, dai saluti romani, dagli alalà e dalle altre prescrizioni di quegli anni.
Con tutta la libertà di cui disponeva, e col tempo che la scuola gli lasciava per molte ore del giorno e per tutti i mesi dell’estate, Anselmo Bordigoni poteva coltivare i suoi piaceri e incrementare i suoi guadagni mettendo a profitto due profonde conoscenze connaturate alla sua personalità: la pesca e la musica.
La pesca per lui era f orse più un riposo e un capriccio che un espediente per integrare il suo salario di maestro elementare. Gli rendeva sì e no in un anno una cinquantina di pasti a base di agoni, persici e alborelle. La musica, invece, oltre ad essere la sua grande passione, gli serviva come mezzo di sussistenza.
Dava lezione di qualunque strumento, generalmente di flauto, di clarinetto o di cornetta a operai o barbieri con buona inclinazione, e di pianoforte a qualche figlio di famiglia. Le sue lezioni erano una o due al gi orno; e le impartiva sul tardi, a pesca finita, diffondendo sulla chioma degli ippocastani, dalla finestra aperta, le note del piano o del clarinetto.
Dopo cena, alle otto in punto, andava a sedersi al pianoforte del Cinema Tiraboschi, sotto il bianco telo ne, con la schiena rivolta al pubblico. Attaccava subito a suonare mentre la gente entrava ancora, e si fermava solo dopo il primo tempo. Insieme al riaccendersi delle immagini sullo schermo riprendeva la musica, per sostare brevemente negli intervalli fra un tempo e l’altro, fino alla farsa finale. Cosa suonasse, nessuno era in grado di dirlo; ed era opinione comune che egli pestasse sui tasti come veniva, ispirandosi in qualche modo alle scene che vedeva succedersi sul telone, se pur gli era possibile ved ere qualche cosa stando ai piedi della ribalta.
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A2. La frase "diventato esigente" (evidenziata nel testo) ha il soggetto sottinteso ed è implicita.
Qual è il soggetto della frase? Scrivilo.
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fascismo
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2019_08_SIM_A
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domanda aperta
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